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Rimanemmo a letto per un po', accarezzai il suo stomaco piatto ed osservai perplessa la macchia rossa che portava come un timbro sulla spalla, proprio dove lo avevo morso.

-Scusa. Ti ho fatto molto male? – chiesi a mezza voce, accarezzai con cura il segno e lo sfiorai delicatamente con le labbra.

Sorrise e, per l'ennesima volta, il suo sorriso era in grado di illuminare tutta la stanza.

-No, anzi, mi piace portare i tuoi segni addosso – disse con una voce roca, diversa dal suo solito tono dolce e musicale, si girò a pancia sotto e voltò il suo viso verso di me, con un'espressione divertita.

-Ti morderò più spesso, allora – mi morsi un labbro, arrossendo leggermente.

-Sei così bella – mormorò accarezzandomi i capelli – sei ancora più bella quando hai fatto l'amore.

Mi coprii con il lenzuolo, imbarazzata.

Come mi sarei potuta liberare da quell'incantesimo, se continuava così?

In bilico tra quello che mi comunicava la sua voce e quell'emozione così pura da non capire nemmeno la mia reale identità, mi sentivo così perduta da non riuscire ad articolare un singolo discorso di senso compiuto.

Chiusi gli occhi e mi impedii di farmi cogliere con le difese abbassate.

-Smettila – borbottai sotto al bianco. Trascorremmo qualche altro minuto a letto, accarezzando il suo petto, mentre giocava con i miei capelli e il mondo invidioso, fuori, ci osservava con sbirciando tra le tende bianche della stanza da letto. Alla fine mi costrinsi ad alzarmi, perché si stava facendo davvero tardi: scavalcai con un piccolo movimento della gamba la scatola di cartone con le scarpe che mi aveva portato dall'ultimo viaggio e che avevo appoggiato ai piedi del letto.

Si trattava di un paio di decolleté verde acqua con piccole roselline nere ricamate sul lato: quel ragazzo non aveva nemmeno un difetto, centrava anche perfettamente il mio gusto per le scarpe particolari!

Mi vestii in fretta con un serissimo completo giacca e pantaloni neri, poi, dopo avergli lanciato uno sguardo sfuggente, infilai le sue scarpe verdi.

Mi voltai con una mezza piroetta, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo con attenzione e sorrise: -Incredibile! Sei ancora più bella di quando ti ho vista stamattina, il che è, in pratica, impossibile, ma come fai? – si alzò da letto, bello, ma così bello da far fatica a reggere il suo sguardo intenso, diretto, quello stesso sguardo così dolce ed innamorato senza il quale non potevo più vivere.

Era la perfezione, altro non esisteva.

Mi venne incontro e mi abbracciò, senza sfiorare con un solo centimetro della sua pelle il mio collo, il mio viso e i miei capelli. Sapeva bene che ci avevo messo un po' per prepararmi, quindi aveva la sensibilità di non voler rovinare ciò che avevo fatto fino a quel momento, con ogni probabilità questa era educazione ricevuta dalla madre e dalla sorella.

Mentre io volevo solo che mi baciasse e scompigliasse i capelli.

-Magia –risposi ridendo.

Ricambiai il suo sguardo ed avvertii nuovamente quella fastidiosa sensazione di sentirmi del tutto fragile ed inadeguata.

-Tu ... sei magica – mi baciò sulla fronte e poi guardò l'orologio – è tardi. Devi andare!

Mi diede una leggera spinta verso la porta.

Afferrai la mia borsa, piena di trucchi, cianfrusaglie e responsabilità, e feci per uscire dalla porta; Leonardo, appoggiato contro il muro, le braccia conserte sul petto ancora nudo, mi guardò con la fronte aggrottata e un'espressione divertita stampata sul viso.

TrentacinqueWhere stories live. Discover now