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Frugai nella borsa ed uscii dal locale, mi accesi una sigaretta alla luce di un lampione.

La strada era deserta e, da dentro, le voci e la musica arrivavano solo attutite.

Alzai lo sguardo verso il cielo: era una di quelle rare sere dove splendeva una grande luna piena, alta e bianca, rotonda, materna, e le stelle, pur nel trafficato e modaiolo centro di Roma, riuscivano ancora a brillare, lontane, perfette, immobili.

Soffiava un leggerissimo vento, nemmeno troppo freddo, ero in grado di sopportarlo, in quella notte così strana, in mezzo a tutte quelle sensazioni così forti, non programmate, inattese. Il quadro non mi era ancora chiaro, ma ora potevo iniziare a vedere le prime pennellate colorate sulla tela bianca: non sapevo cosa volessero dire, non riuscivo ad attribuire loro un significato, ma sapevo che, da quel punto, potevo partire da zero.

Avevo iniziato a prendermi cura dei miei sentimenti e, per la prima volta in mesi, forse anni, mi sentii libera davvero.
Il mio vestito nero e corto, che svolazzava nel vento, in quel momento, mi sembrò l'ultimo dei problemi, di fronte a quella notte così strana, così chiara.

Era una sera perfetta per lasciarsi, una sera perfetta per sentirsi felice, serena, leggera ed intoccabile e io così mi sentivo in quel momento.

Stavo bene, stavo come non ero mai stata prima: ero in pace con me stessa.

Non avevo mai pensato che Giacomo potesse essere la persona giusta, per me, ed era un bene che me ne fossi liberata.

Dovevo dare atto a Veronica che aveva visto giusto.

C'era, sì, quel senso di vuoto e fallimento che accompagnava sempre la fine di una storia, lo sentivo sempre, ogni volta che lasciavo o che venivo lasciata.

Ma, dopotutto, quella era un'altra notte in cui sarei rincasata da sola.

Niente di speciale, a ben vedere.

C'era sempre un po' di amarezza, quando una storia finiva, anche quando era durata poco, anche se aveva coperto il vuoto di qualche settimana. Giacomo era stato comunque il mio compagno per un breve periodo della mia vita.

Ora, non che lo rimpiangessi.

Anzi.

Ero felice che avesse preso la propria strada.

Ero io, che dovevo fare i conti con l'ennesimo fallimento.

Inspirai a fondo e, dopo un tempo che mi sembrò durare mille anni luce, mi sentii libera, libera di vivere la mia vita, libera di essere affrancata da relazioni inutili, libera dal mondo che mi toglieva il fiato, che mi faceva sentire inadatta, come se fossi continuamente sotto processo.

Mentre io volevo solo respirare, dopo mille anni, essere me stessa, prendere coscienza di chi fossi davvero, anche se, in quel momento, la mia identità era ciò che di più inafferrabile esistesse al mondo. Ora potevo respirare, potevo sentirmi bene, in pace con il mio mondo, con le mie aspettative e con ciò che volevo davvero.

-Tutto bene? – mi girai verso l'ingresso del locale, senza dover guardare chi avesse parlato, senza avere nemmeno un dubbio, perché quella sua voce era una certezza, qualcosa che non avrei mai messo in dubbio.

-Sì. – feci un sorriso debole, quasi impercettibile, dal basso verso l'alto, mentre accanto a noi sfrecciava una macchina; la leggera folata di vento fece sollevare di un poco la mia gonna.

Leonardo si accese una sigaretta con tranquillità, facendosi schermo con la mano per proteggere la fiamma ed inspirò profondamente.

Come faceva a sapere che avevo solo voglia di parlare con qualcuno?

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