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Dopo un viaggio che mi sembrò infinito, arrivammo al nostro hotel, una bellissima costruzione ottocentesca, circondata da un vasto parco, con tanto di piscina e campo da tennis.

Certo che la fama procurava tanti onori, insieme alle preoccupazioni, allo stress ed ai dispiaceri.

-Penso proprio che non sarà così terribile stare qui – commentai scendendo dalla macchina, mi guardai intorno: non c'erano fotografi alla ricerca di scoop, quindi potevo salutare Leonardo con calma.

Rimase in macchina, abbassò il finestrino e mi lanciò un'occhiata dal basso verso l'alto: una di quelle occhiate che riuscivano a farmi tremare dentro.

-Anche se non ci sono? - chiese facendo un broncio un po' infantile e un po' adorabile.

-No, certo, vorrei che stessi con me. - ammisi abbassando lo sguardo, dicendo la verità - Ma – afferrai il manico del mio trolley e cercai di darmi un tono – considerato che devi lavorare, penso che salirò in camera, mi infilerò il costume e farò un salto a vedere com'è questo centro termale. Mi farò massaggiare un po', un bell'idromassaggio e, forse, un lettino abbronzante, insomma, mi rimetterò in sesto e stasera mi troverai più in forma che mai.

-Capirai – commentò alzando il vetro del finestrino – vivrai benissimo senza di me. - infilai le dita dentro e gli accarezzai una guancia, fermò il vetro che saliva e colsi l'occasione per piegarmi leggermente verso di lui.

-Non dirlo nemmeno per scherzo. Ingannerò il tempo. Aspetterò fino a quando non sarà il momento di rivederti.

Sembrò convincersi alle mie parole, perché il sorriso che fece fu, per me, un vero regalo, una benedizione, una condanna, qualcosa di cui si poteva vivere, qualcosa che avrebbe rischiarato la mia intera giornata, qualcosa che mi avrebbe messa in croce per il resto dei miei giorni: ero una ragazzina, ero innamorata pazza, ero pronta a tutto, pur di stare con lui.

-Allora ... vado – commentò alzando un sopracciglio.

Non ritrassi la mano, ma mi accostai al finestrino ancora semi-aperto e mi avvicinai al suo viso adorato. -Se devi andare, vai. - sussurrai in un soffio impercettibile - So che lo devi fare. Ma conterò i minuti che mi dividono a che sia ancora qui con me. Adesso vai, perché se resti un altro secondo, finirò per rimettermi in macchina con te e seguirti come un'ombra.

-Lo sai che non possiamo – ne avevamo parlato: visto che le prove si tenevano in una piazza pubblica, sicuramente piena non solo di fan, ma anche di giornalisti, era meglio per me tenermi alla larga.

Per me, le prove erano ancora territorio off-limits, un territorio che non potevo ancora sondare, savana troppo selvaggia.

Sarei andata alla cena ed al concerto, dove ci sarebbero stati tantissimi addetti al lavoro, tanti curiosi e amici di amici tra cui confondermi.

Ma era meglio che fosse libero di lavorare in pace, senza intromissioni.

Soprattutto le mie intromissioni, che, in apparenza, erano in grado di mandarlo in confusione.

-Appunto. Vai. È difficile vederti andare via, ma so che devi andare. - strinsi gli occhi e mi allontanai dal suo viso, ritraendo la mano, lasciandola abbandonata sul mio fianco, inerte, inutile, incapace di dirgli quelle semplici parole, quelle parole che erano sulle mie labbra, quel banale "non te ne andare" che, forse, anzi, con ogni probabilità, lo avrebbe trattenuto lì, accanto a me.

Perché era così doloroso lasciarlo andare, anche solo per qualche ora, perché mi faceva male al cuore, perché avevo paura di non rivederlo mai più, anche se sapevo che era solo una questione di scorrere di minuti, ma poi sarebbe tornato, mi avrebbe abbracciato di nuovo, baciata di nuovo?

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