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Ma chi era questo ragazzo conosciuto per caso?

Perché mi abbracciava e mi faceva sentire così?

Così persa, così sconfitta, anche se non sapevo minimamente chi avessi davanti, chi fosse quella persona che tentava di entrare nelle pieghe della mia corteccia inattaccabile con una tenacia che sorprendeva me in primis.

Perché tutto d'un tratto ebbi paura e mi sentii felicissima, quasi euforica?

E cos'era quell'istinto di scappare via, inghiottita dal buio della notte?

Avevo paura di lui o paura di me?

Forse avevo solo paura delle mie sensazioni, di quello che stavo provando, dovevo proprio essere fuori di testa.

Che cosa mi stava succedendo?

Non ero proprio più io.

Io non volevo essere la ragazzina fragile, quella che soffriva per amore, che restava col cuore spezzato, che piangeva tra le lenzuola e si rinnegava al mondo, pur di avere un uomo alle proprie spalle.

Non ero mai stata così, almeno non dopo Francesco.

E allora perché mi sentivo così bene?

Perché avevo la strana sensazione che tutto quello che stava succedendo fosse giusto, fosse ragionevole, fosse, in pratica, addirittura inevitabile?

A tutta quella serie di domande non avevo alcuna risposta: mi sentivo svuotata e priva di forze, stanca di fingere di essere chi non ero, stanca di sotterfugi e maschere, stanca di parole vuote e discorsi sciocchi che non mi interessavano, stanca del resto del mondo, di tutto quello che non fosse lui.

Forse non era il caso di combattere contro i mulini a vento, forse dovevo prendere quello che veniva per ciò che era, senza indagare, senza interrogarmi, ma lasciando che scorresse come un fiume.

Ed era proprio un fiume quello che mi stava travolgendo, tra le sue braccia persi il senso del tempo e dello spazio, con gli occhi chiusi mi affidai a lui, che non conoscevo, di cui sapevo a malapena il nome, che era entrato nella mia vita come qualcosa di inatteso, di così sorprendente che nemmeno io riuscivo a trovarne l'inizio.

Mi affidai a lui come se stessi per cadere nel vuoto, come se dovesse davvero salvarmi la vita, da quella vita che avevo costruito con le mie stesse mani e che avevo voluto, per cui avevo lottato, pianto. Sanguinato.

Eppure, non so come, seppi in quel preciso momento che mi potevo fidare, che si stava aprendo una piccola porta e, forse, da quella porta, poteva finalmente entrare luce.

Accanto a lui mi sentivo splendente, sorridente, perfetta, niente di male sarebbe mai potuto succedere, fino a quando mi avrebbe tenuta tra le braccia.

Quell'abbraccio durò tutta la vita, respiravo il suo profumo, sentivo le sue braccia intorno a me, la musica era sparita e c'eravamo solo noi, soli in cima al mondo.

Sentivo il suo respiro vicino all'orecchio, con le sue labbra dolci e morbide che tracciavano trame complicate sul mio viso, tenendosi ben lontano dalle mie labbra, girandoci intorno, facendomi solo sentire il profumo da lontano, come se fossero territorio invalicabile, maledetto, infestato da fantasmi che nessuno dei due voleva davvero affrontare.

Ma volevo mi baciasse, volevo lo facesse subito, lì, nel buio, lontano da tutti: volevo vivere quelle sensazioni sbagliate, volevo sentirlo mio, ormai non riuscivo più a ragionare con coerenza.

Volevo staccarmi, ma non lasciarlo andare, mi sentii male fisicamente all'idea di lasciarlo: per la prima volta in anni, un uomo mi abbracciava solo per farmi sentire al sicuro, protetta al riparo dal resto del mondo, e io mi sentivo tranquilla e agitata, ma solo perché ero troppo vicina a ciò che volevo con una disperazione che sorprendeva me prima di tutti.

Era proprio un abbraccio per quel che era: un contatto fisico di corpi e io volevo far finta che quell'abbraccio non sarebbe finito mai più.

Perché quell'abbraccio mi dava vita, mi rendeva forte e fragile al tempo stesso, perché il suo profumo era ormai un'ossessione, perché non potevo immaginare di avere, da qualche parte, dentro di me, la forza di staccarmi da lui.

E, di certo, prima o poi, ci saremmo dovuti staccare, quell'attimo doveva finire, ma in quel momento non pensavo altro che a lui.

Per quanto fosse sbagliato, per quanto fosse assurdo e ridicolo, per quanto io stessa, in prima persona, non capivo nemmeno chi fossi o cosa davvero stessi facendo ... avevo la certezza che volevo stare con lui, proprio lì, proprio in quel momento.

Sapevo che andava tutto bene, sapevo che quel bene voleva dire qualcosa, mi apriva il cuore, era tutto, era pazzesco, assurdo, mi rubava un sorriso e mi faceva sentire come se lo volessi con un'intensità spaventosa e disorientante.

E quel buio che ci inghiottiva, in quella oscurità ovattata dove quasi tutto era permesso, fui ad un passo dal perdermi, perché sapevo che se avessi indugiato ancora tra le sue braccia, forse avrei ceduto, forse avrei sbagliato, forse avrei fatto qualcosa di cui mi sarei potuta pentire. Eppure, quelle braccia forti, che circondavano la mia schiena, mi davano sicurezza, come se niente al mondo avesse mai potuto ferirmi e come se, anche per me ci fosse ancora speranza, calore, vita, futuro.

Inghiottii i mille pensieri che mi svolazzavano in testa, mangiai freddo e pensai che non esisteva nient'altro, a parte noi due, al di là di quell'abbraccio unico, che non si sarebbe ripetuto mai più.

Quando mi staccai da lui, senza nemmeno sapere dove avessi trovato la forza per farlo, lo guardai.

Gli sorrisi. Mi sorrise.

Era imbarazzato.

E lo ero anche io, come se mi avesse succhiato vita, come se avessimo fatto l'amore, come se mi avesse vista nuda, perché aveva spiato la mia anima e, ora, non potevo essere più vulnerabile di così.

Ma ero sveglia, avevo gli occhi ben aperti e non sarei mai stata più sicura di me stessa come in quel momento: dovevo staccarmi da lui, dovevo sciogliere l'incantesimo, dovevo dimenticare che ormai già esisteva un legame.

Qualsiasi cosa fosse, dovevo soffocarlo subito: non poteva essere, non poteva esistere, non dovevo dargli corda, non mi avrebbe colta in fallo un'altra volta, mi sarei protetta con le unghie e con i denti e non mi sarei fermata di fronte a nulla.

Ma qualsiasi cosa fosse, era prepotente, era disperato e mi mangiava fin dentro l'anima.

Ormai c'ero dentro, iniziato a sorridere non avrei potuto fermarmi mai più.

D'un tratto mi sembrò la cosa più naturale del mondo, quando mi sorrideva tutto si rimetteva a posto. Perfino i miei stessi dubbi sparivano dietro la curva delle sue labbra.

Avevo dormito per secoli, solo per essere risvegliata da lui, da quell'abbraccio senza confini, senza rete, dal quale potevo cadere e per il quale potevo bruciarmi. Sarei morta tutta la vita pur di avere un altro abbraccio così, anche solo per una sola volta ancora, fosse stato anche l'ultimo.

Paradossalmente, in quella penombra avevo trovato più luce di quanto mi aspettassi.

Quell'abbraccio ci aveva uniti, ci aveva reso complici di qualcosa che forse non capivamo, ma c'era, era lì, era solo da accettare. Lui era speciale e ora ne ero certa: era forte, spiritoso, indipendente, era autonomo e non avevo dubbi, non era il ragazzo che pensavo fosse, era l'uomo che mi aveva sorpresa, che si guadagnava da vivere, che si autogestiva, che poteva controllare la propria vita, senza dubbi, senza tentennamenti, con la leggerezza dei suoi diciannove anni, che erano pochissimi, ma sempre diciannove erano. Sapevo di non poter mentire a me stessa, sapevo che non avrei creduto all'ennesima favola e, per quanto quel sorriso a fior di labbra mi facesse sentire viva, sapevo che dovevo tornare alla mia realtà, fuori, alla luce.

-Torniamo di là? – chiesi guardandomi le scarpe, senza riuscire a combattere il battito del mio cuore, senza voler guardare il vuoto, sentendomi soffocare perché addosso avevo il suo profumo e quei piccoli baci innocenti che mi aveva dato ancora bruciavano, sulla mia pelle.

-Certo, hanno organizzato tutto per me, non sarebbe carino se passassi la serata nel guardaroba. – mi fece strada e aggiunse, senza nemmeno voltarsi indietro – Anche se poi non mi sembra una prospettiva così pessima ...

Scoppiai a ridere scuotendo la testa e ritornammo alla luce e al rumore. 

TrentacinqueWhere stories live. Discover now