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Il set era affollatissimo di addetti ai lavori: costumisti, truccatori, cameraman e assistenti di scena, tecnici del suono e delle luci. Mi guardai intorno un po' spaesata, non ero nel mio ambiente si vedeva chiaramente: non sapevo nemmeno come muovermi, in quel caos.

La stanza rispecchiava un po' il resto dell'hotel, un bohemienne a metà tra il raffinato ed il decadente: lunghe tende di pesante velluto verde che ricadevano fino al pavimento a nascondere le grandi vetrate che davano sulla strada, un'abat-jure finto Tiffany, un letto in ferro battuto, sfatto, con lenzuola color crema. Il pavimento in marmo, le pareti bianchissime, ricoperte fino a metà da una carta da parati sui toni di un verde leggermente più chiaro rispetto a quello delle tende.

E, intorno, tutta quella gente sconosciuta.

Non avevo molte coordinate per spostarmi con tranquillità, perciò preferii voltare lo sguardo intorno al set per avere una panoramica completa e, dopo qualche secondo, finalmente lo vidi.

Giacomo stava di fronte a me, a qualche metro di distanza, stava parlando con una persona che mi voltava le spalle.

Il suo viso era serio, parlava a frasi secche e brevi, dando ordini diretti, muovendo rapidamente le mani, anche se non riuscii a capire con esattezza quello che diceva. Aveva calato sulla fronte una coppola marrone che aveva senz'altro visto tempi migliori, gli occhiali da vista con la montatura nera (anche se ci vedeva benissimo), un maglione di lana scura a collo alto, lo sguardo severo, la barba incolta, gli occhi mobilissimi, intelligenti di un colore indefinito, tra il grigio e il blu.

Non appena mi vide, fece un mezzo sorriso e con un brusco cenno delle mani mi indicò di avvicinarmi. Forse fu quel gesto quasi stizzito, ma, all'improvviso, in modo del tutto irrazionale, mi chiesi perché fossi lì e cosa esattamente stessi facendo: in effetti, non mi interessava per niente incontrare la star del momento, né di trovarmi lì, in mezzo a tutta quella gente che non conoscevo, né intendevo conoscere. Come sempre, in quel momento, avrei voluto sparire nel nulla, svanire, essere inghiottita dalla nebbia o dalla confusione per non essere più visibile a nessuno, ritornare nella penombra della mia casa sicura e rimettermi a studiare le mie pratiche di lavoro.

Volevo solo mettermi in disparte ed osservare, passando inosservata, mosca indifferente su un muro lontano.

Quella era l'esperienza nuova che volevo fare oggi, non le pubbliche relazioni con un ragazzino sicuramente viziato e brufoloso.

-Leonardo, ti voglio presentare la mia fidanzata – fidanzata? Quasi inciampai tra i cavi elettrici quando sentii la parola "fidanzata". Fidanzata da quando? E con chi? Conoscevo Giacomo da quattro mesi e uscivamo insieme da poco meno di tre, "fidanzata" non era solo fuori luogo, ma addirittura ridicolo – Laura.

La persona con cui Giacomo stava parlando si voltò subito verso di me e mi porse una mano per salutarmi.

Ero così presa dallo slalom tra i cavi che afferrai al volo prima la mano e solo in un secondo momento sollevai la testa per guardare chi mi trovassi di fronte.

Denti bianchi, labbra rosse, occhi penetranti, castani, di un castano scuro intenso e lucido, come le castagne dei boschi, pelle fresca, leggermente abbronzata, naso deciso, ricci scuri un po' scarmigliati, con leggere ciocche più chiare forse schiarite dal sole, che gli davano leggermente un'aria scanzonata da guascone, una bocca leggermente piegata in un sorriso divertito, lo sguardo sicuro, limpido, senza filtri. Misi meglio a fuoco chi avessi davanti: era alto, forse sul metro e novanta, ma comunque sensibilmente più alto di me.

Aveva un viso insieme delicato ed affascinante e un sorriso birbante e, al tempo stesso, da adulto.

La pelle liscia, molto chiara, senza imperfezioni, un filo di barba o un brufolo.

TrentacinqueHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin