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Il lunedì successivo, una mattina di luce e sole, mi svegliai con la strana e piacevole sensazione di essere osservata: aprii gli occhi e, dopo qualche secondo, focalizzai ciò che avevo di fronte.

Era lì, i capelli arruffati, lo sguardo dolce e leggermente assonnato, il lenzuolo gettato sul fianco, il viso appoggiato al braccio piegato: era lì che mi guardava con un sorriso delizioso sulle labbra, quelle labbra che mi facevano morire, dalle quali avevo bevuto, mi ero nutrita, avevo tratto nuova vita.

-Buongiorno –disse a mezza voce.

-Buongiorno a te – la mia voce suonò zuccherosa e senza speranza.

Io non ero quella: ero sempre stata una donna forte, una roccia, ero pietra dura, uno scoglio sbattuto dalle onde del mare, sferzato dal vento, che non si smuoveva col tempo; non amavo il romanticismo, non ero mai stata amante delle cose sdolcinate, non mi piacevano e mi mettevano a disagio: ero una combattente, una guerriera indomabile. Qualcuno che non doveva piegarsi ai metodismi e alle stupide regole del corteggiamento, perché con me non funzionava.

Le mie passate relazioni erano state tutte sbagliate: mi ero avvicinata ad uomini cattivi, superficiali, stupidi, vuoti, incapaci di gestire me e le nostre relazioni, non alla mia altezza, ma non perché fossi chissà chi, solo perché sapevo di essere un indomabile osso duro.

Di colpo, come una sorta di folgorazione, mi resi conto che con nessuno avevo provato quello che provavo con lui.

Normalmente, nella mia vita passata, mi sarei alzata senza dire una parola, mi sarei andata a fare una doccia tiepida aspettando con trepidazione che l'uomo nel mio letto se ne andasse, per non dover parlare, per non dover affrontare la realtà di discorsi vuoti, di inutili frasi fatte, di imbarazzanti silenzi.

Avevo sempre odiato la freddezza del giorno dopo aver fatto l'amore, quando la passione lasciava spazio alla quotidianità, quando le parole sussurrate col cuore in gola e il fiato corto e le carezze, i baci insistenti diventavano solo ricordi sbiaditi.

Quei silenzi mi imbarazzavano e, di solito, preferivo che l'amante della notte precedente scivolasse fuori dal mio letto e scomparisse dalla mia vista senza dirmi nulla. Non c'era un modo giusto per spiegarlo: ero inadatta ai risvegli, preferivo molto di più vivere le sensazioni del momento, per quanto selvagge, bastarde e sbagliate potessero essere.

Anche a costo di sembrare cinica, insensibile, anche a costo di sembrare veramente una stronza senza cuore. E, forse, in fondo, ero proprio incapace di provare sentimenti veri, di lasciarmi andare, di condividere la mia realtà anche il giorno dopo una notte di sesso travolgente.

Ed invece, in quel momento, ero lì, di fronte a lui, incapace di distogliere lo sguardo dal suo viso così amato: debole, sconfitta, conquistata dalla sua magia. E non dovevamo lottare, non dovevo spiegarmi, non dovevamo parlare, c'era solo un silenzio consapevole, sicuro, tranquillo, che non occorreva infrangere, che non aveva bisogno di nient'altro, se non di noi e quel silenzio era sufficiente, bastava ad entrambi.

Forse il destino mi aveva condotto fino a lì, fino a quel letto bianco, disfatto, che profumava di lui, perché quella era la strada giusta, perché lo volevo in un modo che non aveva confronti col passato, io ero sua e non c'era molto altro da dire.

Ero lì, nuda e coperta fino al seno da un lenzuolo bianco, con la guancia sinistra appoggiata sul palmo della mano aperta, alcune ciocche di capelli neri che mi ricadevano sulla fronte, sulla guancia destra, sugli occhi.

Ero lì che lo guardavo con tutto l'amore del mondo, con tutto l'amore che non credevo di avere e invece era in me, che mi tenevo dentro da tantissimo tempo e che, piano piano, Leonardo era stato in grado di farmi uscire. Non avevo idea di poter custodire in me tutti quei sentimenti confusi, inspiegabili, spaventosi, in grado di cambiare tutto, perfino le mie certezze.

TrentacinqueWhere stories live. Discover now