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Mi piaceva Gianluca, anche se spesso mi faceva innervosire: era sempre in grado di conservare una notevole dose di sangue freddo, non arrossiva mai e difficilmente lo si poteva mettere alle strette. La sua tranquillità mi irritava, a volte avrei voluto prenderlo per la cravatta e scuoterlo un po': non perdeva mai le staffe e, per lui, tutto era normale, anche tutte le follie che spesso e volentieri accadevano dentro allo studio.

Ma del resto, sul lavoro, era davvero in gamba, uno dei migliori.

E, cosa non trascurabile, uno dei pochi sul posto di lavoro, oltre a Veronica, col quale riuscissi ad avere una specie di rapporto umano.

Mi affacciai alla porta del suo ufficio con un sorriso e, lui, con un gesto della mano, mi fece cenno di entrare.

-Dimmi – dissi sedendomi sulla poltrona di pelle di fronte a lui.

-Laura – esordì guardandomi negli occhi, mi diede una veloce squadrata, in silenzio, poi continuò: – oggi sei raggiante. I tuoi successi lavorativi ti fanno davvero bene.

-Grazie, sì, sarà proprio quello – risposi evasivamente.

Mi lisciai la piega dei pantaloni e mi accorsi di avere inspiegabilmente le mani sudate.

-Ho saputo che sei uscita con Andrea – non distolse gli occhi dai miei, aspettando una reazione. Rimasi impassibile, attendendo, a mia volta, che continuasse, Gianluca tossicchiò, fece un mezzo sorriso e proseguì: - Scusa l'affermazione, non voglio essere invadente, so che la tua vita privata non è affar mio. 

-No. Non lo è – risposi accavallando le gambe e appoggiandomi allo schienale della poltrona – ma qui c'è tanta gente che ha molto di cui sparlare e tanti pettegolezzi da fare. Quindi, non so, se vuoi maggiori dettagli, ti posso dire che, sì, sono uscita con Andrea. E non ci uscirò un'altra volta.

-Non ti sentire messa sotto accusa, ma ... hai ragione quando dici che qui i pettegolezzi si sprecano – commentò annuendo, si piegò verso uno dei cassetti della sua scrivania ed estrasse un giornale.

Me lo mise sotto al naso ed io, molto lentamente, troppo lentamente, abbassai gli occhi a leggere.

C'erano alcune foto di me e Leonardo.

Ok, fin lì, niente di strano, dopotutto era vero che ci eravamo visti, in pubblico, in diverse occasioni. Guardai meglio: fuori dall'ufficio.

Cavolo.

All'aeroporto.

Alla festa per il lancio del suo video.

Sotto casa mia. In una stava addirittura uscendo dal portone: era mattina presto, o forse sera tardi, ed era mascherato come per le migliori occasioni, cuffia, sciarpa ed occhiali da sole.

Ok.

Erano diverse foto.

Cavolo, erano davvero tante foto, prese da angolazioni diverse, in situazioni del tutto diverse e in momenti della giornata differenti.

Ed eravamo sempre insieme, sempre con lo sguardo perso l'uno nell'altra, i nostri visi che si riflettevano, sorrisi e risate che lasciavano scoperti i denti, gesti affettuosi, abbracci, carezze, anche se innocenti.

Le didascalie, più o meno, erano tutte simili, roba del tipo: "Leonardo e la sua donna misteriosa", "Il re e la regina?".

Stupidaggini di quel genere.

Non sapevo bene quale fosse la mia espressione, in quel momento: sentii un groppo allo stomaco che non voleva né scendere né salire, la fronte aggrottarsi, le labbra serrate, strettissime, ridotte ad un filo di carne rossa appena visibile.

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