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Leonardo era partito e, il giorno successivo, mio malgrado, mi imposi di riadattarmi alla vita normale, quella fatta di quotidianità e gesti ripetuti, consolidati, certi, fatta di cose che facevo da una vita intera, che mi davano sicurezza, che mi facevano credere che, dopotutto, dopo i terremoti e gli tsunami, ci fosse ancora possibilità, per me, di una parvenza di normalità.

Non ci eravamo sentiti se non per qualche veloce sms col quale mi comunicava quello che stava facendo o come andavano le cose, tutte comunicazioni frettolose e quasi da decifrare, scritte velocemente e quasi rubate nei pochissimi ritagli di tempo.

Sapevo bene però che quella sera aveva il famoso concerto nel tempio del jazz e sapevo anche che la sua tensione era ormai a livelli esponenziali.

Avevo cercato su Google il nome del locale e avevo appreso che di lì erano passati tutti i più grandi musicisti contemporanei: per un ragazzo di appena venti anni, per di più proveniente dal mondo dannato e fagocitante della televisione, ambiente verso il quale la grande musica aveva notoriamente sempre nutrito una certa idiosincrasia, era un traguardo storico.

Avevo anche letto, sempre su internet, alcuni commenti su di lui dei principali critici musicali: tutti si erano espressi univocamente a favore del suo talento.

C'era chi lo chiamava fenomeno, chi lo paragonava ai grandi nomi della musica.

Altri elogiavano il suo talento, definendolo unico, innato, senza precedenti o paragoni. Anche i principali esponenti delle radio più famose e delle case discografiche più importanti in Italia avevano speso parole entusiastiche a suo favore, per la sua tecnica, senza scuola, senza regole o canoni: lui era un talento raro, sia per la capacità interpretativa che per la presenza scenica: la telecamera lo amava, tutto lì, senza sconti o compromessi, era proprio così: quel suo sorriso maledetto non aveva tradito solo me, ma anche tantissime persone intorno a me, anche se non me ne accorgevo.

Era nato così, con quel dono pazzesco di una voce senza confronti, irripetibile, che non aveva imperfezioni o difetti, e, quella voce in grado di sciogliere ghiacciai e far crollare montagne inarrivabili, beh, quella voce aveva soprattutto il dono di entrare nel cuore delle persone.

E, chissà perché, per qualche motivo, davanti a tutti quegli elogi, davanti a quelle lodi senza freni, mi sentii molto orgogliosa.

Ogni volta che vedevo il suo nome sul monitor del pc, il mio cuore sussultava.

Stavo veramente impazzendo!

Eppure, eppure, per quanto cercassi di interrogarmi, per quanto fossi durissima con me stessa, per quanto mi mettessi quotidianamente sotto processo, non riuscivo a condannarmi senza appello, perché il fuoco che avevo dentro bruciava e mi dava vita.

Quel fuoco era ormai diventato il sapore stesso dei miei giorni.

Rincasai tardi, come sempre, o, almeno, come sempre era stato prima di conoscere Leonardo.

Dopo una cena a base di take-away cinese, riempii la vasca di acqua calda per poter fare un bagno prima di andare a letto, accesi qualche candela e mi riempii un bicchiere di vino rosso.

Ormai erano le undici e lui, in quel momento, stava cantando sotto le luci soffuse del tempio del jazz. Quasi me lo immaginavo: vestito elegante, in giacca e cravatta, con la camicia fuori da jean, visto che me lo aveva mezzo anticipato per telefono, un po' guascone e un po' intimidito dalla situazione, i ricci raccolti, che teneva solo per le occasioni speciali, lo sguardo sicuro, le labbra carnose e rosse protese nell'ultimo acuto, la voce salda, profonda, dolcissima, nell'acustica perfetta del locale.

Scivolai sott'acqua trattenendo il respiro, perdendomi nei miei pensieri, nella tranquillità ovattata dell'acqua calda che accarezzava dolcemente il mio corpo nudo e mi sentii protetta, al sicuro.

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