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Cazzate, scossi forte la testa, mi asciugai il sudore dalla fronte e mi dissi che non ci sarei caduta un'altra volta.

Ero Laura, sapevo quanto valessi.

Sapevo che poteva esistere un futuro, ne ero certa.

Sapevo che quello non poteva essere che un brutto sogno, mentre correvo senza sosta, senza meta, alla ricerca disperata della stazione dei treni, che ormai avevo anche dimenticato dove fosse.

Forse avrei trovato la strada, forse, se avessi corso ancora per secoli.

-Laura! - una voce alle mie spalle mi fece fermare.

Mi bloccai senza fiato, sudata, stravolta, mentre quella voce dietro di me mi fece tremare fin dentro alla parte più profonda del mio cuore, fin dentro alle viscere, perché conoscevo benissimo quella voce maledetta che avevo pregato di sentire ogni notte, di non sentire mai più.

Mi voltai come al rallentatore e cercai di mettere a fuoco la figura che si stagliava di fronte a me, contornata dal sole caldo del pomeriggio, chiedendomi nello stesso momento come fosse mille volte e mille ancora, quello consapevole, da uomo vissuto, quel sorriso che poteva tutto su di me, fino a qualche anno prima. Quel sorriso che era un soffio d'aria fresca sul mio viso accaldato, che era stato vita, speranza, guida e fantasia.

Non so che faccia feci: forse un'espressione sciocca e scioccata, avevo aspettato per anni quel momento e, ora che lo avevo davanti a me, mi sentivo incapace di qualsiasi reazione. Non sapevo che dire, cosa fare, non trovavo nemmeno le parole di circostanza, nemmeno il sangue freddo di fingere che vederlo, dopo tutti quegli anni, mi fosse del tutto indifferente.

-Cosa fai qui? - disse avvicinandosi a me, con passi troppo lunghi, con sguardo troppo convinto, con una sicurezza che mi faceva tremare. E quegli occhi puntati su di me, occhi che avevo amato, che mi avevano guardato per secoli, occhi che mi avevano amata e osservata con un amore che non aveva confini, che sembrava destinato a non finire mai. Occhi che avevano ancora dentro una magia, che avevano ancora qualcosa in grado di farmi sentire male, nella parte più profonda di me.

-Passavo di qua – risposi senza pensare e, prima che me ne rendessi davvero conto, persa in quei suoi occhi grandi e limpidi, ero tra le sue braccia.

Mi strinse forte, quelle braccia da uomo che mi stringevano mi facevano sentire fragile ed incapace di reagire: ero in balia di quel momento, ero una nave in mezzo alla peggiore delle tempeste, sbattuta contro gli scogli, avevo aspettato tutta la vita di sentire di nuovo quell'abbraccio ed ora che ero tra le sue braccia mi sentivo perduta, insensibile, come se davvero non sentissi niente: né gioia, né timore, né paura, niente di niente.

Stava succedendo tutto troppo in fretta, prima i miei, quelle parole che ancora galleggiavano sulla mia testa, e adesso, lui, che era l'ultima sigaretta, il bicchiere della staffa, la dieta che rimandavo al giorno dopo, era la concessione, lo sgarro, il mio peggiore errore, la bugia che continuavo a ripetermi come un'ossessione, quasi per auto-convincermi, qualcosa forse di piacevole, ma anche sbagliato e dannoso, dal quale dovevo disintossicarmi, con tutte le mie forze.

Eppure, malgrado tutti quegli anni, sentivo che la mia riabilitazione non era nemmeno iniziata, perché quella malattia che faceva piangere il mio cuore non era curabile: non c'era medicina, non c'era soluzione, non avevo vie d'uscita.

-Ma come stai? - mi chiese staccandosi dal mio corpo in fiamme.

Che diavolo stavo facendo?

Dovevo andare via, dovevo scappare: mi aveva lasciato da sola, mi aveva gettata via come una caramella scartata, dal gusto cattivo, mi aveva lasciata una volta di troppo e non potevo stare lì, visto che sostenevo di volere solo la mia libertà, non potevo ammettere che un incontro casuale potesse rovinare quella parvenza di equilibrio che avevo ottenuto con tanta fatica.

TrentacinqueWhere stories live. Discover now