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Mi svegliai con la bocca impastata e gli occhi pesti: era troppo presto e la sveglia suonava come un martello pneumatico nella mia testa.

Rimasi in ascolto di quel trillo fastidioso, incapace di reagire, immobile nel letto enorme.

Ero sola, oppure qualcuno dormiva al mio fianco?

Mi voltai verso Giacomo che dormiva ancora profondamente, abbracciato al cuscino.

La sua espressione serena, senza alcun pensiero e, soprattutto, ignara del mio sguardo, mi innervosì. Possibile che non sentisse il mio cuore battere, il mio sguardo su di lui, i miei occhi scuri, che cercavano, indagatori, un suo gesto, uno qualsiasi, purché fosse? Possibile che non si accorgesse di nulla, di me, di quanto vuoto aveva creato tra di noi?

Possibile che avrei anche potuto non rincasare affatto e lui non se ne sarebbe accorto?

Non significavo nulla per lui, quello era chiaro.

Mi passai una mano tra i capelli annodati e scivolai fuori dal letto, ormai rassegnata al fatto che non si sarebbe svegliato e non avrebbe notato la mia assenza.

Lo guardai, così sereno e così carino, con gli occhi chiusi, il respiro sereno e l'espressione tranquilla, scossi la testa dicendomi che ero proprio una pazza e mi preparai per andare al lavoro.

Avevo una strana sensazione rispetto alla sera precedente, qualcosa di difficile da spiegare, ma avevo la testa leggera e mi sentivo bene davvero, come non mi sentivo da tempo.

Ripensai alla serata passata insieme?

Certamente.

Gli pensai?

Certamente.

Dovevo smetterla?

Certamente.

Ma allora perché quel benessere?

Non volevo saperlo e dovevo andare a lavorare.

Entrai in studio e salutai i colleghi che ricambiavano con lievi cenni del capo e sorrisi standard, passai davanti alla scrivania di Veronica.

Non era ancora arrivata.

Accesi il pc e iniziai a scaricare la mia posta elettronica.

Controllai l'agenda: alle dieci e mezza avevo una riunione con uno dei soci di maggioranza e un potenziale nuovo cliente.

Non ce l'avrei mai fatta per le undici.

Osservai dubbiosa il mio cellulare, appoggiato in modalità silenziosa accanto alla tastiera.

Proprio in quel momento, come animato di vita propria, vibrò per annunciarmi un nuovo messaggio, sorrisi e lessi: "Non vorrai mica darmi buca, vero?".

"Ho una riunione alle dieci e trenta, l'avevo rimossa. Non posso proprio. Mi spiace davvero", risposi. Forse un po' brusca, riflettei: non volevo sembrare fredda o altro, forse dovevo aggiungere qualche parola in più, così sembravo davvero gelida.

Non feci in tempo a pensarlo con un vago senso di rimorso che nemmeno sapevo perché serpeggiava in fondo al mio cuore, che il telefono vibrò nuovamente, guardai il display: era lui.

-Pronto? – chiesi titubante.

-Buongiorno – rispose Leonardo e stupidamente mi resi conto di sorridere al suono della sua voce.

Oddio, questa cosa era davvero patetica.

Sistemai le penne sulla mia scrivania, giusto per darmi un tono, per pensare ad altro e distrarmi, per un po', da quella voce che mi faceva un effetto strano.

TrentacinqueWhere stories live. Discover now