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Ma poi arrivò anche giovedì e, all'alba di quel benedetto giovedì, giurai a me stessa che non mi sarei mai più allontanata di proposito da lui.

Non lo avrei fatto mai più, perché la sofferenza era troppa.

E non volevo soffrire: lo volevo e basta.

Rincasai che già aveva fatto buio e sapevo benissimo che non era ancora atterrato a Fiumicino. Chiusi la porta di casa, stanca e con i capelli in disordine, con un'ansia che sapevo che riconduceva solo a lui.

Il suo volo forse era stato ritardato, forse era stato cancellato o, da angelo perfetto quale era, ora stava volando sopra alle nuvole.

Indossai una delle sue magliette, una di quelle con le scritte buffe sopra e mi sedetti per terra, con il pc acceso e con il vago e poco convincente proposito di terminare una delle noiosissime relazioni che dovevo presentare entro la fine del mese.

Ma che lavoro potevo concludere?

Cosa potevo fare, se tutta la mia mente, se il mio cuore, il mio stesso corpo, era rivolto a lui?

Mi sentivo così fragile, così in ansia, in attesa, senza speranza, ormai perduta, ma, lui... lui, cavolo, dov'era?

Mi mancava da morire e fosse stato per me, mi sarei buttata per terra, in lacrime, disperata, sconfitta, impaurita: avevo un disperato bisogno che tornasse da me, perché la mia unica fonte di vita veniva da lui. Eppure, quella separazione, mi era servita.

Bene o male, malgrado tutto, ne ero uscita viva.

Non mi ero ubriacata, almeno non troppo da non ricordare, la mattina dopo, chi fossi e chi davvero mi mancava.

Non avevo pianto, mai, tranne quella sera speciale, che sarebbe sempre restata nel mio cuore, ma forse era stata l'acqua della vasca, il bagnoschiuma, la stanchezza, mentii a me stessa.

Era vero che spesso ero stata sull'orlo delle lacrime, questo dovevo ammetterlo, almeno a me stessa, ma non lo avrei detto mai a nessun altro.

Non mi ero abbandonata alla malinconia ... beh, almeno non troppo: non avevo fatto cose eccessivamente patetiche, a parte mettermi le sue magliette quando stavo in casa.

No, non era vero: ero stata molto patetica: avevo sentito la sua mancanza come se fosse stato lontano da me per una vita intera, avevo disfatto il letto a furia di voltarmici dentro senza tregua, lo avevo sognato ogni notte e, al mattino, ritrovare la metà del letto vuota mi faceva stare male.

Mai come allora mi ero resa conta che al mondo c'era solo lui che mi conosceva davvero, che capiva ogni piega del mio cuore e riusciva a farmi stare bene.

Avevo ascoltato il suo cd.

Avevo cercato notizie su internet.

Gli avevo pensato ininterrottamente.

Ad ogni suo messaggio, ad ogni chiamata, il mio cuore sussultava, quasi ricevesse nuova linfa vitale. Sorrisi a me stessa, sentendomi innegabilmente giovane e vinta, come se la mia vita fosse iniziata proprio in quel momento, come se, in quel preciso istante, avessi trovato la mia collocazione nel mondo, come se per me esistesse ancora la felicità, malgrado tutto, malgrado Francesco, malgrado il mio lavoro, malgrado tutto il resto.

Proprio in quel momento, rannicchiata per terra con il computer in grembo, i capelli raccolti in una crocchia disordinata, gli occhiali con la montatura scura appoggiati sul naso, la sua camicia profumata addosso, sentii armeggiare alla serratura: alzai lo sguardo verso la porta d'ingresso e lo vidi.

Era così bello, così abbronzato e così felice che per qualche secondo non fui in grado di muovere un muscolo, nemmeno di respirare.

Il sole della sua terra, anche in soli tre brevissimi giorni, gli aveva persino schiarito i capelli e il suo viso era finalmente disteso e riposato.

TrentacinqueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora