Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉ

71

Mi svegliai di buon'ora, feci una doccia frettolosa, poi mi ricordai che ora non dovevo più preoccuparmi di risparmiare acqua.

A Milano non veniva razionalizzata.

Solo che quando si vede qualcuno morire di stenti, anche una doccia diventa un lusso.

Perfino respirare era una gioia.

Invece dei soliti trenta, frenetici, secondi, mi concessi cinque minuti, sentendomi in colpa.

Incredibile come ci si abituasse in fretta ai piccoli piaceri della vita, fossero stati anche una semplice doccia o un cambio di vestiti puliti.

Infilai un paio di jeans logori e una maglietta verde, le Converse ai piedi, un colpo di spazzola ai capelli e fui pronta.

Avevo ancora in mano il foglio con le poche informazioni che mi avrebbero portato da Gabriel, ma ora stavo uscendo per incontrare Agnese, la compagna di papà.

Camminai fino alla fermata più vicina della metropolitana, comprai un biglietto e scesi ad una delle fermate più a nord della città. Solo quando fui a bordo del vagone vergato di graffiti, pensai a quanto fossi diversa dalla ragazza che si faceva portare a spasso per la città da un taxi o da un'autista.

C'era ancora qualcosa, di quella Chloé, in me?

Gabriel si era innamorato di quella ragazza ingenua, che arrossiva ad ogni complimento, che non sapeva niente della vita, non certo della donna che ero diventata, che aveva guardato la morte in faccia talmente tante volte che ne aveva perso il conto.

Se anche mai fossi riuscita a raggiungerlo, mi avrebbe amato ancora?

Mi stava cercando?

Mi pensava?

Almeno tanto quanto lo stavo facendo io?

Almeno un po'.

Erano passati undici anni dall'ultima volta in cui era stato mio, in cui ero stata sua.

Forse, in quegli undici anni, lui aveva girato pagina e s'era fatto una vita.

Forse si era sposato.

Forse aveva addirittura avuto anche dei figli.

Non potevo pretendere che rimanesse ad aspettarmi per sempre. Anche se me lo aveva giurato, anche se mi aveva detto che mi avrebbe aspettato per sempre.