52

315 15 0
                                    

Parcheggiò, come sempre, a qualche decina di metri di distanza dall'ingresso di casa, questa volta, sapendo che la villa era deserta, entrammo dalla porta principale, tenendoci per mano.
-È la prima volta che entro a casa vostra passando per l'ingresso principale – commentò con un sorriso malinconico.

-Era ora – risposi freddamente.
-Chloé?
-Cosa? - non lo guardai, non potevo alzare gli occhi e vedere il volto di qualcuno che mi voleva bene, perché, se lo avessi fatto, sarei scoppiata a piangere. E avrei pianto tutte le lacrime che avevo trattenuto fino a quel momento.
-Cosa è successo?
-I miei sono ad una festa – spiegai, sperando capisse.
-Chloé – ripeté, ancor più preoccupato.
-Cosa?
-Va tutto bene?
-Va tutto benissimo.
-Sicura?
-Sicura – confermai, facendogli strada, come Virgilio con Dante, lungo la scalinata che portava al piano superiore, fin dentro camera mia.
Dall'inferno al paradiso, in solo trentaquattro scalini.
-Visto da questa prospettiva, non dalla finestra, sembra tutt'altro ambiente – sorrisi forzatamente, chiudendo la porta a chiave.
Non gli risposi, ma spensi la luce e la stanza rimase immersa in una penombra magica, con la sola luce della luna che filtrava attraverso la finestra aperta.
Presi fiato e cercai il coraggio.
Mi tolsi la maglietta, mentre Gabriel mi guardava senza trovare le parole, non capendo il senso delle mie azioni.
-Hey... - disse, infine, la voce bassissima, a corto di fiato – che stai facendo?
-Cosa pensi stia facendo? - risposi, cercando di essere seducente, ma suonando come una diciassettenne spaventata.
Alzai lo sguardo verso di lui, accorgendomi che l'avevo colto del tutto alla sprovvista.
-Chloé, non credo sia il caso...
-Non credi, ma io credo lo sia. Tu lo vuoi, io anche. La casa è deserta. Voglio. - la voce un sussurro appena percettibile, quasi volta più a convincere me che lui - So che lo vuoi anche tu.
-Chloé, non stasera – disse dolcemente.
-Perché non stasera? Perché stasera non va bene? Siamo soli, siamo io e te – cercai nei suoi occhi una risposta che già conoscevo: Gabriel non voleva da me una sera di sesso strappata per caso, per evitare di pensare all'intera serata.
Sapeva che ero sconvolta da tutto ciò che era successo, che stavo reagendo male, che stavo forzando le cose e me stessa.
Io non lo sapevo.
Non lo capivo.
Forse non riuscivo nemmeno ad accettarlo, di certo non con me stessa.
Ma lui sì.
-Mi va bene stare qui, stasera mi prenderò cura di te. - mi prese tra le braccia, lasciandomi un bacio disperato e dolcissimo tra i capelli – Non sai quanto ti voglia e che fatica è dirti di no, perché ogni parte di me vorrebbe baciarti fino a consumarti. Ma non stasera, non dopo quello che è successo. Non approfitterei mai della tua debolezza, sei troppo a pezzi, sei sotto choc e non voglio che domani ti possa pentire di quello che hai fatto. Starò con te fino a quando non ti addormenterai, ma non faremo sesso. Non faremo l'amore. Non saresti con me, non saresti davvero mia, e, domani, svegliarsi e guardarsi negli occhi sarebbe terribile. E lo sai meglio di me.
Mi morsi un labbro, cercando di trattenere le lacrime, non volevo piangere ancora di fronte a lui, specialmente adesso che mi ero mezza spogliata nel tentativo di sedurlo, ma avevo un nodo in gola che non saliva né scendeva:
-Sono andati ad una festa. - mormorai quasi quella fosse una giustificazione sufficiente al miocomportamento sconclusionato.

-Lo so.
-Quando mi ha fatta mettere in ginocchio e s'è sbottonato i pantaloni – Gabriel distolse lo sguardo, disgustato – quando lo ha fatto, sai a cosa ho pensato?
-No e non so se voglio saperlo – scosse la testa, irrigidendosi.
-Ho pensato a te. A come avresti reagito arrivando a casa mia e non trovando nessuno, a quanto avrei voluto rivederti un'altra volta, perché avevo paura, no, avevo la certezza che non ti avrei più rivisto. Sai cosa vuol dire vivere per due volte la sensazione di essere ad un passo dalla fine? - lo allontanai di scatto, alzando la voce, mi passai una mano tra i capelli: - No, ovviamente non lo sai. Non sapete niente. Mi trattate come una bambina, decidete di vivere le vostre vite così, a prescindere da me. Io devo subire, sempre. Ogni volta devo accettare le vostre decisioni, devo abbassare la testa e farmi trattare come un pacco, come un oggetto. Devo lasciare la mia vita e acconsentire a quello che altri hanno pensato per me. E sono stufa. Stufa di tutto. Sono così stanca di tutti che mi prendono e mi fanno girare come gli pare: non sono una bambola, non sono un burattino, sono una persona in carne ed ossa! Dannazione, perché non riuscite a capirlo e continuate a trattarmi tutti come se avessi due anni e non fossi in grado di prendere delle decisioni da sola? - allargai le braccia esasperata.
Gabriel, colto di sorpresa dal mio scatto, non sapeva più come prendermi.
-Non...
-Io ho pensato a te! - strillai, sconvolta - Ho pensato che sarei morta e mi seccava morire in generale, ma anche per il fatto che non avrei mai più potuto rivederti. Ed è stato terribile, perché ci sono circa cinquemila cose che ancora ti devo dire, che ancora voglio fare con te. - trattenni un singhiozzo ed inspirai a fondo - Ma, ancora prima di pensare a te, ho pensato a come avrebbe reagito mio padre. Ho pensato a che dramma sarebbe stato, per lui, perdere anche me. A quanto m'avrebbe cercato, per tutta la notte, a quante persone avrebbe telefonato, a cosa avrebbe smosso, solo per sapere che fine avessi fatto. Mi sono chiesta se sarebbe uscito in strada a cercarmi, o avrebbe preferito aspettarmi a casa, attendendo il mio rientro, sperando che arrivassi, anche solo per sgridarmi, dirmi che sono un'incosciente e mettermi in punizione. La verità è che, mentre qualcuno mi obbligava a mettermi in ginocchio tirandomi i capelli, lui si stava mettendo addosso il vestito migliore per andare ad una stupida festa con mia madre, una festa come tutte le milioni di stupide feste a cui partecipano. Se fossi morta, se m'avesse davvero stuprata, se m'avesse preso a calci, a pugni, se m'avesse umiliata, se solo... se solo, dopo essersi abbassato i pantaloni, m'avesse spinto ancora e avessi dovuto fare quello che voleva... ma lo sai, piuttosto gliene avrei strappato un pezzo a morsi, piuttosto... piuttosto – rabbrividii così forte che mi tenne fra le braccia, solo per calmarmi, poi, in uno scatto d'ira, presi il vaso di fiori, giunchiglie, che faceva bella mostra di sé sulla mia scrivania e lo scagliai al suolo. Il rumore di vetri infranti mi fece crollare definitivamente e scoppiai in un pianto sconsiderato, incontrollabile, spaventoso, come uno tsunami di lacrime che inondava tutto – So che mi voleva fare male, ma qualsiasi cosa avesse fatto, mio padre, quello che avrebbe dovuto proteggermi, prendersi cura di me, quello che mi ha strappato dalla mia vita per obbligarmi a stare qui... beh, l'avrebbe saputo solo domani mattina, dopo aver smaltito la sbornia. E la verità è che se ogni volta credo che lui sia cambiato, sia diverso, che tenga a me, che mi voglia davvero come figlia nella sua vita, perché mi vuole bene, perché ha capito... finisco solo per pagarne le conseguenze e sono l'unica che ha la colpa, perché ogni volta ci spero e ogni volta rimango delusa.
Gabriel annuì, consapevole, mentre io cercavo di calmare il battito del mio cuore, mentre ricacciavo con forza indietro le lacrime, mentre mi rendevo conto che le mie certezze crollavano, tutto il mio mondo era fatto di burro, di carta straccia.
Di cose inutili, dimenticabili.
E faceva male, faceva dannatamente male.
-Sei così coraggiosa.
-Non sono coraggiosa affatto, - protestai, scuotendo la testa, sentendomi in mille modi diversi, ma non coraggiosa. Non più. Avevo perso tutta la mia spavalderia dentro ad una cabina telefonica. - Ho avuto così tanta paura e adesso penso che dovrei essere qui con mio padre, che avrebbe dovuto preoccuparsi per me, perché se sono usciti alle otto, a quell'ora io ero già in ritardo. A quell'ora dovevo già essere a casa. A quell'ora, lui doveva già essere in pensiero per me. - mi sedetti sul letto, stanca, sporca, scarmigliata e lui si sedeva accanto a me, iniziando ad accarezzarmi i capelli dolce come il tocco di un angelo, dissi, con dolorosa consapevolezza: - A lui non importa niente di me. A loro... semplicemente non importa: vogliono solo controllarmi, vogliono... vogliono che gli appartenga ed obbedisca. Tutto qui.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now