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Svoltai l'angolo, facendo serio training autogeno per non scoppiare a piangere, per non fermarmi alla prima cabina telefonica per telefonare a casa e chiedere aiuto, per non sedermi a terra ed invocare la morte, per non prendere a calci un muro, un bidone della spazzatura, per non inveire contro il cielo. Inspirai a fondo, una, due, tre, dieci volte, mentre mi dicevo di tenere duro, di non crollare, di non perdere il controllo e, soprattutto, di non piangere.

Mi resi conto che i miei lunghi passi ormai erano diventati una corsa senza senso: correvo senza una direzione precisa, senza sapere come ritrovare la strada verso casa.
Ero sconvolta e non ci voleva un genio per capirlo.
Da quando ero arrivata a Milano, da quando lo avevo conosciuto, tanta gente mi aveva ferito e fatto del male: mia madre giocava con la mia vita e i miei sentimenti, mio fratello era morto e l'avevo perso per sempre, mio padre mi ignorava, avevo rischiato di essere stuprata, due volte, avevo dovuto affrontare le ex di Gabriel, i loro insulti e gli sguardi cattivi su di me. Fino a quel momento, niente mi aveva particolarmente abbattuta, perché, da qualche parte, avevo sempre pensato che c'era lui, ad aspettarmi. Che lui si sarebbe preso cura di me.

Che a lui interessava il mio bene.
Che non mi avrebbe delusa, tradita.
Come poteva avermi presa in giro così?
Come potevo esserci cascata?
Come avevo fatto ad essere così cieca ed ottusa?
Come potevo, dannazione, proprio io, aver ceduto alla prima menzogna?
-Chloé, per favore – mi raggiunse, col fiatone, affiancandomi e prendendo la mia mano.
Lo scrollai da me con violenza.
-Non mi toccare!
-Ok – rispose abbassando la mano – però rallenta il passo e cerca di calmarti.
-Io sono calma – dissi con voce tremante, perché non volevo passare per la solita femminuccia emotiva.- Sono calmissima.
-Fermati – mi impose, la voce così bassa da sembrare un ruggito, sobbalzai, leggermente spaventata, se ne accorse ed aggiunse, in fretta: - Per favore.
Non dovette bloccarmi o afferrare una parte del mio corpo, perché mi piantai sui piedi, immobile, sul marciapiede deserto.
Abbassai lo sguardo, incapace di guardarlo.
Anche solo di dire una parola.
Di respirare.
Di vedere, con un minimo di lucidità, le cose.
-Possiamo parlare? - mi chiese, più dolcemente – Ti prego, lasciami spiegarti come stanno le cose, prima di saltare alle conclusioni. - Annuii e avrei voluto dirgli che avrei sperato di credergli, avrei voluto credere alle sue spiegazioni, ma ormai era troppo tardi ed era impossibile. Non riuscii a guardarlo, perché se avessi visto i suoi occhi verdi fissi, imploranti, su di me, se avessi visto il gesto nervoso delle sue mani che si sistemavano i capelli, se avessi visto la curva delle sue labbra, avrei ceduto. E io non dovevo cedere, non potevo, non ancora, non di nuovo. Avrei voluto dirgli che mi aveva delusa e ferita, che mi sembrava di essermi svegliata da un sogno bellissimo e ora la realtà faceva schifo, che non mi pareva vero che avesse preferito la sua vecchia vita a me, anche se io, in fondo, dopotutto, di fatto, non ero nessuno. E, questo, ormai, era un concetto chiarissimo. Avrei voluto dirgli un milione di cose, ma non riuscivo ad aprire bocca, perché, alla prima vocale sarei scoppiata in un pianto isterico. Prese fiato, inspirando a fondo e riordinando le idee: - Ho quel coltello da anni, non ricordo neppure chi me l'abbia regalato. Non lo tengo per autodifesa, ma solo per abitudine. Come vedi questo quartiere non è molto sicuro e mia madre è stata già aggredita due volte. Non è una giustificazione. Ma non l'ho mai usato. Non ho mai ferito nessuno, con quel coltello. Penso che, forse, non saprei nemmeno come usarlo. Questa sera è stata la prima volta che l'ho tirato fuori dalla tasca, solo d'istinto. Ho pensato fossimo in pericolo e mi è venuto spontaneo, questo non vuol dire che sono pronto ad accoltellare qualcuno. Ma in questi ultimi giorni, tu hai subito troppe aggressioni e non voglio che succeda ancora. Quindi, se fossi in pericolo, probabilmente, sì, userei quel coltello per difenderti. - prese fiato, estrasse il coltello dalla tasca e continuò: - Se questo ti turba tanto, anche se non l'ho mai usato, allora sono pronto a buttarlo. Anche ora, subito.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now