2

1.4K 36 0
                                    

Un'ora e mezza più tardi, dopo aver sistemato a fatica una valigia piena zeppa all'inverosimile nell'apposito scomparto (valigia che, per altro, non avevo saputo bene come riempire, considerato che non sapevo quanto sarebbe durato il mio soggiorno milanese), dopo essermi seduta ed aver controllato la mia frangetta allo specchio, dopo aver cercato di leggere qualcosa senza capire il senso di una singola riga, dopo aver tentato di distrarmi guardando fuori dal finestrino del treno in corsa, mi ritrovai nuovamente a chiedermi il perché di quella partenza improvvisa, che sembrava a tutti gli effetti una fuga dalla realtà per immergersi in un mondo tutto nuovo.

Avevo preso in considerazione tutte le possibilità, da ciò che temevo, fino alle ipotesi più assurde. 

Malattia.

Forse mamma stava male. A onor del vero, mamma stava sempre male, lei era una di quelle persone fragilissime ed egocentriche che crollavano al primo alito di vento, ma forse, questa volta, era qualcosa di serio. Forse questa volta aveva esagerato con le pillole, con l'alcol, con chissà cos'altro.

Soldi.

Forse gli affari di papà avevano subito un tracollo ed eravamo diventati poveri. Forse era per quello che ero stata obbligata a scappare da un collegio che costava troppo, forse per quello la Dürrenmatt si era trovata così a disagio in mia presenza. Ecco, eravamo diventati poveri, come quei teleromanzi strappalacrime che tanto appassionavano mia madre, o in quel cartone animato che vedevo da piccolina e mi metteva addosso un'angoscia tremenda, Lovely Sarah, in cui la protagonista, dopo la scomparsa del papà, da ricca ragazzina viziata diventa sguattera nello stesso collegio dove studiava e finiva a vivere in un sotto tetto, dove si ammalava di una qualche malattia assurda, tipo la tisi. Per lo meno, adesso la tisi non uccideva più nessuno, almeno quella era una buona prospettiva.

Se la prospettiva fosse mai stata quella, allora ero fortunata, perché non avrei potuto sopportare di diventare la cameriera di una delle mie compagne di collegio.

Forse avremmo dovuto cambiare casa, stile di vita.

Di nuovo, malattia.

Forse era papà che stava male. Ma papà era il ritratto della salute e, soprattutto, era stato lui a fare quella strana richiesta alla preside, quindi non presi seriamente in considerazione quell'evenienza.

Mio fratello.

Pensai, come in una folgorazione, a Claudio, ma, anche in quel caso, scossi la testa sorridendo: non mi avrebbe mai creato problemi, quindi potevo escludere anche lui dalla lista. Claudio era il ritratto della salute, quello che, con ogni probabilità, era stato spedito alla stazione ad accogliermi e che, se solo lo conoscevo bene come credevo, mi stava già aspettando seduto su una delle panchine della banchina, il sorriso bianco disteso, gli occhi scintillanti, pronto a mostrarmi il suo nuovo tatuaggio. Certo, mi avrebbe spiegato tutto lui, magari con un sorriso ironico per la mia sciocca preoccupazione, pronto a dirmi "oh, sei così una bambina, Chloé", prendendomi in giro per la mia apprensione e per la serie assurda ed illogica di eventualità che mi avevano attraversato il cervello.

Era il 1997 e, sebbene fossero già in commercio da qualche anno ed erano considerati uno dei principali status symbol in circolazione bramati (o già posseduti) da tutti i miei ricchi amici, non avevo un cellulare per mettermi in contatto con la mia famiglia. Non l'avevo mai voluto perché non l'avevo mai ritenuto un oggetto davvero importante: in convitto ogni camera aveva un telefono a disposizione degli studenti e passavo la maggior parte del mio tempo o in collegio o in convitto, quindi un telefono portatile non mi sarebbe mai servito.

Mai, come in quel momento, mi diedi della stupida per non aver accettato di averne uno in regalo, papà me l'aveva chiesto, minimo, dieci volte e io avevo sempre rifiutato. Se avessi avuto un telefono, avrei chiamato casa, avrei chiesto che diavolo fosse successo, di così grave, da costringermi a scappare così, senza un perché, senza una spiegazione, come un pacco postale che viene recapitato da una parte all'altra come un ordine elementare da eseguire.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now