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Mi svegliai, pesta e stordita, una delle mattine più difficili e complicate della mia vita.
Mi sollevai dal letto e, dopo qualche secondo di totale stupore immobile, mi guardai intorno: la mia camera.
Tutto ok.
I mobili, gli stessi di sempre.
Le fotografie, sempre quelle.
L'atmosfera generale di quel mattino era quella di ogni giorno, immota.
Niente era cambiato, dalla sera precedente.
Abbassai gli occhi sul mio corpo.
Il pigiamino, cotone blu e fiorellini, pantaloncini corti e una canottiera, le gambe stese tra le lenzuola bianche, le dita dei piedi che si stiravano come se anche loro si stessero svegliando.
La notte più folle che avessi mai vissuto.
Le sensazioni più contrastanti.
Paura.
Desiderio.
Attesa.
Inadeguatezza.
Orgoglio.
Ansia.
Tutte avvolte insieme, in una specie di all inclusive che si viveva quando ci si imbatteva in Gabriel.
Il mio sguardo scorse dalle gambe alle mani, fino ai polsi e agli avambracci.
Sgranai gli occhi alla vista dei lividi bluastri che si erano formati sulla mia pelle bianchissima.
Alcuni ricordavano decisamente la presa mortale delle dita del mio aggressore.
Santo cielo, come potevo nascondere quei lividi dalla vista dei miei genitori?
Avrebbero notato le occhiaie?
Il vestito blu che era rovinato irrimediabilmente ed era finito appallottolato nel cestino, in camera? Quella maglietta sporca di sangue, avvolta come un pugno di stoffa, sotto al letto?
I lividi sui polsi?
Si sarebbero accorti che mi ero innamorata?
Scesi le scale per colazione, fingendo una tranquillità che non avevo.
Avevo indossato una maglietta con le maniche lunghissime, nascosti i polsi, nascosti gli occhi dietro ad un leggero velo di trucco, i primi rudimenti di fondotinta e terra che avessi mai preso, nascosta la notte insonne dietro ad un sorriso che sperava essere abbastanza convincente.
Infranta anche la quarta barriera: mascherare i segni di una notte insonne.
La prima, cedere al suo sguardo.
La seconda, perdersi nel suo sorriso.
La terza, seguirlo fino alla porta dell'inferno.
Mi sembrava di essere cresciuta di cinque anni in una sola notte: ero salita in camera, la sera precedente, indossando un paio di pantaloncini e una maglietta spiritosa, con la certezza che niente avrebbe mai potuto scuotere le mie convinzioni, che non esistesse il male, che nessuno avrebbe mai potuto ferirmi, spaventarmi o toccarmi, che ad una persona come me non potevano succedere cose come quelle che mi erano accadute le sera prima, quelle cose succedevano solo nei film, non nella vita reale e, certo, non nella mia.
Ne scendevo ora con un vestito da sera buttato, lividi sul corpo e nel cuore, con la consapevolezza che non dovevo fidarmi di tutti, non riuscivo più a credere che al mondo non esistesse il male, perché il male era ovunque, perfino in me.
Solo allora mi rendevo conto di aver vissuto fino per anni al sicuro in una bolla di sapone, che mi aveva protetto dai mali del mondo, soffocata e repressa, certo, ma pur sempre al riparo da tutto ciò che era concreto, reale, brutto. Ora la bolla era scoppiata e avevo imparato, a mie spese, cosa volesse dire perdere tutto, rischiare tutto, compromettere tutto.
Non ero più così innocente, ma, di certo il mio cuore era diventato più forte.
Ero cresciuta, mi sentivo come se la mia infanzia all'apparenza dorata fosse finita quella notte, non tanto con la morte di Claudio.
Sapevo dell'esistenza della morte, sapevo, sulla carta, che tutto era precario.

Ma non avevo mai avuto a che fare con la violenza cieca che mi era saltata agli occhi la notte precedente: era quel tipo di violenza che non avevo compreso, senza un briciolo di razionalità e, per questo, mi faceva ancora più paura.

-Buongiorno – la voce incolore, nascosto dietro al giornale del mattino, già seduto a tavola. La cameriera gli stava versando una tazza di caffè; mamma, di certo, era ancora a letto.

-Buongiorno papà – risposi lasciandogli un lieve bacio sulla guancia. Mi sedetti di fronte a lui, a disagio per le attenzioni della cameriera che, senza interpellarmi, mi stava versando una tazza di te.
Finsi che il te mi piacesse per non infastidirla.
Ma, in realtà, io odiavo il te.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉOnde histórias criam vida. Descubra agora