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Qualcosa che non avevo mai capito di Gabriel era il rapporto che aveva con le donne.
Quando eravamo soli, sembravo esistere solo io, nel senso che sembravo essere l'unica persona che mai gli fosse interessata.
Quando eravamo in mezzo agli sconosciuti, per strada, ad esempio, vedevo gli sguardi curiosi che gli lanciava il genere femminile. Ok, "curiosi" non era proprio l'aggettivo ideale.
Avrei dovuto dire "lascivi", "provocatori", "invitanti", "affamati".
Poi, di norma, quegli sguardi seguivano il suo muscoloso braccio fino ad estenderlo alla mano che teneva stretta la mia e l'espressione cambiava. C'era chi distoglieva subito la propria attenzione da un uomo evidentemente occupato da altri pensieri.
Ma c'era chi mi squadrava, facendomi sentire una schifezza, al suo fianco.
E, nella testa, sentivo i silenziosi commenti che mi indirizzavano.
Piccola.
Infantile.
Non adatta.
La peggior accoppiata di sempre.
Troppo bassa (e se ero certa di una cosa era che io non ero bassa affatto. Potevo essere più bassa di lui, ma non ero genericamente bassa per essere una ragazza di diciassette anni).
Niente curve, lui non avrebbe potuto toccare niente se non il mio corpo ossuto.
Quella frangetta, oddio, faceva così anni '80.
Così scialba.
Così poco attraente.
Che ci faceva una così con uno così.
All'inizio ci rimanevo male, ma, fino a che quei commenti rimanevano silenziosi, esternati solo da sguardi penetranti, facevo finta di niente, anche perché non avrei mai avuto il coraggio di lamentarmi con Gabriel.
Che avrebbe potuto farci?
Le cose cambiavano quando ci imbattevamo in persone che lo conoscevano e, con persone, intendo non tanto i suoi amici maschi, che mi guardavano con un certo interesse, come uno di quegli animali rari, da esposizione, in via di estinzione, ma, piuttosto, le sue amiche femmine.
E, con amiche femmine, intendo le ragazze che avevano avuto una storia con lui.
Non sapevo ancora definire il concetto esatto che stava dietro a quel grado di rapporto che univa un ragazzo ad una ragazza e che rientrava nella definizione di "storia".
Apparentemente, una "storia" era una relazione non esclusiva e non stabile, che poteva durare da un minimo di una notte ad un massimo di qualche settimana. Non erano coinvolti sentimenti concreti, non c'erano grandi conseguenze o rancori che si trascinavano, dopo la chiusura del rapporto, solitamente decisione presa di comune accordo.
Insomma, qualcosa del genere.
Sembrava che Gabriel si fosse associato (era un termine esatto? Forse non proprio adattissimo, ma la mia scarsa dimestichezza nella categorizzazione dei rapporti di coppia non mi dava vocaboli migliori senza dover sfociare necessariamente nel volgare. E io non ero una ragazza volgare) a mezza Milano. Mezza, letteralmente.
Bionde.
Rosse.
More.
Ragazze piene di piercing e tatuaggi.
Aspiranti modelle.
Cubiste da discoteca.
Cassiere del supermercato all'angolo.
Gelataie.
Due cameriere dello stesso ristorante.
Un'orda di studentesse del liceo, poco più grandi di me o della mia stessa età.
Una signora di trent'anni. Ancora dovevo capire che cosa cercasse una così, in un ragazzo giovane come Gabriel.
A giudicare dalle sue passate frequentazioni, Gabriel non sembrava proprio un tipo selettivo.

Riservato, certamente, perché non raccontava mai nulla delle sue storie precedenti.

Ma bastavano gli sguardi delle sue ex fiamme, per capire che nessuna di quelle relazioni si era mai conclusa in maniera amichevole.
O anche solo civile.
Alcune, al solo vederlo, scoppiavano a piangere e cambiavano strada, quasi avessero appena incontrato un fantasma.
Altre, invece, gli lanciavano occhiate che se avessero potuto uccidere, avrebbero fatto fuori prima lui, poi me.
Altre, ancora, avevano dipinta sul viso un'espressione famelica, che lasciava intendere cosa gli avrebbero fatto, se solo avessero avuto un'altra occasione. Cose probabilmente interdette dalla Costituzione Italiana.
Altre, infine, lo odiavano. Lo volevano morto, ma, prima, volevano vederlo soffrire.
Io non sapevo come si fosse comportato Gabriel con tutte quelle donne, non volevo nemmeno saperlo. Fino a quando non venni, mio malgrado, trascinata in una di quelle scenate che, di solito, si vedevano solo in televisione.
Una sera come tante, stavamo passeggiando nel tardo pomeriggio, poco lontano da uno dei più grandi discopub del centro, dopo una birra (per lui) e un succo di frutta (per me), eravamo pronti a rientrare: ormai era tardi e io non volevo tirare troppo la corda. Da quando ci eravamo conosciuti, eravamo usciti insieme tutti i giorni e vivevo ancora nel terrore di essere colta in fallo dai miei genitori. In un modo o nell'altro, trovano scuse via via sempre più fantasiose e contorte, riuscivo a liberarmi per qualche ora, loro, per il momento, non indagavano, gli andava bene che fossi relativamente presente a fasi alterne nel corso della giornata.
Per Gabriel, ormai, era diventato un gesto istintivo, quello di prendermi la mano quando eravamo in mezzo alla gente, era il suo modo di far sapere al mondo che ero sotto la sua protezione.
E, in effetti, non c'era niente che mi spaventasse, quando ero con lui.
Quella stretta mi dava sicurezza, mi rendeva semplicemente felice.
-Ciao Gabriel! - esclamò una voce alle nostre spalle. Gabriel voltò lo sguardo al di sopra della propria spalla e io guardai la sua espressione cambiare da serena a chiaramente contrariata.
Mi fermai di colpo, girandomi a guardare nella direzione in cui stava guardando lui.
Una ragazza.
Che novità.
Piuttosto minuta, curvilinea, grosso seno, capelli cortissimi biondo platino, rossetto rosso fuoco, indossava una maglietta tagliata poco sotto al seno che lasciava scoperto il suo stomaco tonico e un paio di pantaloni a scacchi. Tacchi altissimi. Lo sguardo furioso di una tigre ferita.
Per qualche motivo che non riuscivo a spiegare neppure a me stessa, le ex ragazze di Gabriel mi intimidivano.
Anzi no, mi facevano proprio paura.
Questa, poi, più di tutte, perché aveva l'aria di potermi picchiare molto facilmente.
Potevo essere più alta, ma questa ragazza aveva più muscoli e l'aria psicotica di qualcuno che, per qualche motivo, si sentiva molto frustrato, arrabbiato, anche con me.
-Alice – disse senza alcun tono nella voce.
-Già, Alice – rispose avvicinandosi di qualche passo.
-Che c'è adesso?
-Non mi hai più chiamato – fece una smorfia. Era evidente che agli occhi di tutte queste ragazze formose io ero o trasparente o inesistente. Il fatto che Gabriel mi stesse tenendo la mano, per lei, non costituiva nessun impedimento dal recriminargli l'assenza di telefonate.
Esistevo oppure per loro ero semplicemente il nulla fatto a persona?
Voglio dire, va bene, io e Gabriel non stavamo insieme e ancora non c'era nessun tipo di relazione, ma ci stavamo dando la mano e quello era già un buon motivo per non intervenire.
-Mi sembrava fossi stato chiaro, l'ultima volta. Non ti avrei richiamato – nudo e crudo, nessun giro di parole, dritto al punto.
Io, come sempre, stavo nell'ombra, nascosta e protetta dietro al suo braccio sinistro.
-Non hai neppure risposto ai miei messaggi. Te ne ho lasciati sia in officina che a casa.
-Lo so, li ho letti – disse alzando le spalle – ma ti avevo detto che era finita. Anzi, a dir la verità, non è mai iniziata.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDonde viven las historias. Descúbrelo ahora