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Uscimmo a prendere una boccata d'aria.
Stranamente, dopo il fiume di parole che ci aveva travolti, nessuno dei due riusciva più a dire niente, come se avessimo consumato tutte le parole e ormai fosse inutile parlare ancora: dopo quello che mi aveva raccontato, qualsiasi cosa sembrava superflua, banale.
Camminavo al suo fianco e il cuore mi martellava nel petto: come avevo fatto a vivere, senza di lui? Senza la sua voce roca e sensuale?
Senza i suoi occhi verdi, che assumevano tonalità diverse a seconda dell'emozione che stava provando? Senza quella bocca rosa, fatta per baciare e per distrarmi.
Il suo viso era così bello che mi feriva, ma non in maniera violenta o sgarbata, era un raggio di sole, che mi faceva socchiudere gli occhi, la sua voce aveva scacciato ogni dubbio, ogni ombra, lasciando solo certezze, al suo fianco mi sentivo protetta, al sicuro e niente mi sembrava più impossibile, perfino che lui davvero tenesse a me, che si potesse prendere cura del mio cuore, dei miei ricordi, di me.
Prima di allora, avevo provato quella sensazione solo con mio fratello: solo lui era riuscito a farmi sentire principessa, anzi, no, regina, signora, padrona. Non incombeva minaccioso su di me come mio padre, non mi dominava né prevaricava: mi faceva sentire bene, protetta, senza soffocarmi o farmi sentire un'incapace. E così era Claudio: un sostegno a cui aggrapparsi, una guida da seguire, una figura discreta che vegliava su di me, incoraggiandomi, trattandomi da adulta, non ero una bambina, non ero una bambolina da mettere su un mobile e spolverare ogni tanto, volevo essere una donna, non un oggetto, uno status symbol da sfoggiare e di cui vantarsi, perché ero brava, ero diligente, ubbidiente, perché andavo bene a scuola e facevo sempre ciò che mi dicevano di fare. Per loro, ero la macchina costosa, la villa al mare, il nuovo telefonino all'ultima moda dei miei genitori, che mi tenevano sotto ad una cappa di vetro, ma non mi facevano sentire reale.
Accanto a lui, invece, era tutto diverso: a lui interessava il mio parere, sentiva le mie emozioni quasi avessimo lo stesso cuore, mi diceva le cose come stavano, mi faceva sentire importante, ascoltata, decisiva.
Camminammo per qualche minuto, in silenzio, senza il coraggio di infrangere la rete di emozioni che s'era intessuta tra di noi, legandoci indissolubilmente.
Mi morsi un labbro.
Mi prese la mano.
Lo guardai, riconoscente e lasciai che me la stringesse.
Mi sorrise, aumentando la presa e facendomi sentire sua, sua proprietà, cosa sua, suo territorio. Ricambiai la stretta, senza distogliere lo sguardo, sentendomi così innamorata da essere quasi paralizzata.
Mi tremavano i polsi, la voce e le gambe, mi tremava perfino il cuore, accanto a lui.
Avevo paura di lui, avevo paura del potere che esercitava su di me, dei suoi scatti d'ira, del suo essere così meraviglioso e così spaventoso al tempo stesso. Non riuscivo a gestire bene la situazione, ne ero spaventata, perché sapevo di non esserne all'altezza.
Ognuno perso nei propri pensieri, camminammo sotto al tiepido sole del pomeriggio.
Avrei camminato tutta la vita al suo fianco, anche senza dire niente.
E, poi, in fondo, non c'era molto da dire: avevo preso una sbandata tremenda per Gabriel, al punto che sarei stata disposta a seguirlo ovunque, in capo al mondo, all'inferno, sulla luna.
-Tutto ok? - mi chiese alla fine, dopo quello che mi parve un secolo di silenzi e di sguardi rubati.
-Tutto ok – confermai decisa – anzi, grazie per avermi raccontato tutto, sei stato sincero e lo apprezzo. Sono felice che... beh, aver saputo che stava bene e stava costruendo il suo futuro mi fa sentire meglio. -Avrei dovuto dirtelo subito, ma... vedi, non sono cose facili da raccontare: mi sa che non ho ancora superato quello che è successo.
-È difficile, è passato troppo poco tempo. Forse abbiamo solo bisogno di tempo per elaborare. O forse non passerà mai. Per me è ancora difficile anche solo pensare che non c'è più: mi sembra impossibile, mi sembra...
-Potranno anche passare cento anni, ma non accetterò mai la sua morte. È così assurdo, la persona più piena di vita del mondo, la più spiritosa, la più vivace. Era inarrestabile: non dormiva mai, aveva sempre qualcosa in mente da fare, progetti, idee... era incredibile. Era speciale, prezioso, era qualcuno da proteggere e da amare. Mi manca, mi mancherà sempre, le parole non basteranno mai per dire quanto mi manca e quanto mi mancherà. Però... lo sai, lo so. – scosse la testa e i suoi ricci tremarono.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now