19

522 23 0
                                    

Non ci mettemmo molto ad arrivare alla festa, Gabriel mi aveva spiegato che era la casa di un suo amico, senza darmi il nome del ragazzo in questione né altra indicazione in generale o in particolare, io, dopo la terza curva, avevo già perso il senso dell'orientamento, quindi mi feci guidare da lui senza chiedere altri chiarimenti: non ne avevo bisogno, dopotutto mi fidavo ciecamente, ero stata pronta a scappare con lui nel cuore della notte, senza che mi dicesse perché o dove stessimo andando, non avrei battuto ciglio per avere più informazioni sulla nostra meta: non mi interessava.

In quel momento, mi bastava essere con lui, sentire il suo respiro, il suo profumo, il verde dei suoi occhi che mi permetteva di vedere il mio stesso futuro, l'eco della sua voce ancora nelle orecchie, la sua immagine che si voltava, mentre mi permetteva di cambiarmi vestito, il fatto che mi togliesse il fiato e mi facesse di nuovo trasgredire alle regole a cui avevo sempre obbedito.

Mai uscire senza avvisare.
Mai di nascosto.
Mai dare confidenza agli sconosciuti.
Mai senza pensarci.
Mai fidarsi.
Mai abbassare la guardia.
Mai credere in qualcosa che accadeva all'improvviso, senza averlo programmato.
Mai mettersi nelle condizioni di essere debole, o indifesa, o attaccabile, anche solo vulnerabile.
E ora mi trovavo sulla sua macchina che sfrecciava sull'asfalto deserto, senza sapere la meta, senza sapere perché fossi lì, perché mi avesse prelevato da casa senza darmi spiegazioni, senza sapere che cosa avremmo fatto di preciso.
Non sapevo nulla di lui, anzi, sapevo solo che era pericoloso, che i miei avrebbero disapprovato la nostra frequentazione e io, fino a quel preciso momento, non avevo mai fatto nulla che fosse contrario al desiderio dei miei genitori.
Non mi aveva neppure chiesto se il suo programma mi andasse bene: era semplicemente arrivato e mi aveva portata via, nel buio.
Così sicuro di sé e del potere che aveva su di me da risultare quasi insopportabile.
Se non fosse stato adorabile.
E irresistibile.
Ma Gabriel poteva essere mille cose diverse, quasi incompatibili l'una con l'altra.
Era assurdo.
Era inaccettabile, fuori controllo.
Era la situazione più pericolosa, pazzesca, fuori controllo in cui mi fossi mai messa: in realtà, la situazione più viva che mi fosse mai capitata in diciassette anni.
E io, per quanto fosse irresponsabile e non da me, non potevo esserne più felice.
Era la più bella serata della mia vita.
Quella era la prima vera azione incosciente che avevo commesso in diciassette anni di vita e c'era voluto lui ad aiutarmi a farla.
Parcheggiò la macchina e, nel giro di quattro minuti, subito dopo aver abbandonato lo spiazzo circondato da salici piangenti adibito a parcheggio, venimmo inglobati da una folla di ragazzi e ragazze che lo salutavano, lo abbracciavano, gli davano pacche sulle spalle e lo trattavano come il re della festa. E, da come si era fermato il normale scorrere delle cose al suo passaggio, lo era, lo era davvero.
Come una specie di Mosè in jeans e occhi verdi, faceva aprire le acque ed elargiva saluti e segni di riconoscimento, mentre io, diventata improvvisamente pure più goffa, piccola e fuori contesto del solito, arrancavo alle sue spalle, sentendomi trasparente e in soggezione, in un ambiente del tutto diverso dal mio, dove non conoscevo nessuno e sembravo una bambina alle prime armi, proprio mentre due ragazze, in coda per entrare come fuori da una discoteca di gran moda, gli si avvicinarono suadenti: -Ciao Gabriel! – fecero in coro con la stessa tonalità di voce un po' ubriaca, troppo alta, cantilenante, entrambe lo baciarono sulla guancia in contemporanea, con una confidenza che un po' invidiavo e un po' ritenevo fuori luogo e non potei fare a meno di notare la differenza abissale che intercorreva tra me e loro: si assomigliavano vagamente, altissime, atletiche, curvilinee, visi dai vistosi tratti decisi, labbra carnose, abbronzatura eccessiva, vestite e truccate in modo decisamente succinto ed appariscente, scarpe eleganti, alla moda, con un tacco vertiginoso che le facevano diventare alte quasi quanto lui, differivano solo per il colore dei capelli: una mora, una bionda.

L'accoppiata perfetta.
In confronto io sembravo davvero una bambina, una nana col vestitino blu e le ballerine senza tacco, in pratica un puffo, il visino pulito, non un filo di trucco.
Non ero nessuno, ero trasparente, inutile, ero un fantasma, una gradevole comparsa che Gabriel, al bisogno, poteva esibire.
Nessuno sapeva chi fossi.
A nessuno interessava.
Rimasi indietro di qualche passo, lasciandogli l'ingresso trionfale che tutti gli stavano attribuendo, ma lui si voltò verso di me, superando le due ragazze senza dire loro mezza parola, mi prese per mano e mi sussurrò all'orecchio:
-Non mi lasciare la mano per niente al mondo: qualsiasi cosa succeda, resta con me – il suo fiato tra i capelli mi fece rabbrividire: sapeva di menta ed aspettative tentatrici, un mondo misterioso che mi si rivelava piano piano, un fiume in piena, una melodia suadente, territorio sconosciuto, da esplorare.
Non avevo la minima intenzione di lasciare la sua mano: se mi avesse abbandonata nel bel mezzo di quel caos, avrei vagato giorni, prima di ritrovare la strada di casa.
-Hey, Gabriel! - strillò una delle due ragazze, la mora (la bionda s'era fatta rispettosamente da parte, uniformandosi alla generale sensazione di soggezione che invadeva l'aria quando passava lui), Gabriel si voltò di scatto e le puntò addosso due occhi verdi un po' irritati.
-Che c'è? - chiese, senza mollare la presa su di me. La ragazza lo raggiunse, saltellando con una certa agilità sui tacchi, gli pose l'indice della mano sinistra con l'unghia perfettamente laccata di smalto nero sotto al mento, quanto bastava per concentrare tutta la sua attenzione su di lei, e, con voce suadente, gli disse:
-Non saluti più? - feci un passo indietro, quasi mimetizzandomi dietro di lui, con la speranza che, se mi fossi fatta ancora più indietro, sarei diventata invisibile.
Come potevo competere con quella tizia?
Io non ero nessuno.
Non avevo curve, non avevo trucco in faccia, non avevo la minigonna, né i tacchi alti che mi facevano ondeggiare, mentre camminavo. Non avevo grandi orecchini a cerchio che oscillavano alle mie orecchie ad ogni cenno del capo. Non avevo lipgloss trasparente su labbra carnose. Non avevo un'abbronzatura finta e un aspetto generale che mi faceva sembrare la Pamela Anderson di Grattosoglio.
Ero una bimbetta spaventata, che si sentiva molto inadeguata e fuori posto.
Quella ragazza era tutto ciò che non ero. E che non sarei mai stata.
Perché, semplicemente, non volevo essere come lei.
-Ciao – rispose lui, spostando, infastidito, il dito dalla faccia.
-Sei qui da solo? - chiese, suadente. Beh, poteva essere anche molto appariscente, ma avrebbe dovuto comprarsi un paio di occhiali, considerato che ancora non ero diventata del tutto trasparente.
Alzai un sopracciglio, ma rimasi in silenzio.
-Sono con lei – sibilò, dandomi un'occhiata eloquente, stringendomi la mano un po' più forte. La ragazza alzò un sopracciglio, squadrandomi da capo a piedi.
Ok, volevo ufficialmente una pala per sotterrarmi.
Arrossii sotto a quello sguardo che mi giudicava e mi condannava, abbassai gli occhi sui miei piedi e rimasi in silenzio.
-Chi è? La tua sorellina? - fece ridacchiando, mentre i miei livelli di mortificazione raggiungevano picchi inenarrabili.
Ma io non ero quella.
Io non ero la ragazzina che stava zitta ed incassava gli insulti.
Io avevo un bellissimo cervello in grado di funzionare alla perfezione.
Quella bambola gonfiabile non aveva idea di con chi avesse a che fare, perché, se solo lo avesse saputo, non avrebbe perso tempo a prendermi in giro.
Inspirai a fondo, cercando di contare fino a dieci, arrivai a contare fino a tre e sbottai:
-No, non sono sua sorella. - emersi da dietro alle sue spalle e la squadrai come si guarda un fenomeno da baraccone. E lei, per me, era esattamente una cosa strana da guardare con curiosità - Se lo conoscessi davvero come credi, dovresti sapere che lui non ha fratelli o sorelle.
La ragazza mi lanciò un'occhiata sorpresa e un po' disgustata.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now