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La dote più incredibile ed imprevedibile di Gabriel era saper farmi passare dalle stelle alla realtà più assurda ed incontrollabile: io cercavo disperatamente di tenere le mie emozioni sotto controllo, ci provavo cocciuta, con le unghie e con i denti, poi arrivava lui, che, con una sola occhiata, riusciva a farmi venire un mancamento, un colpo al cuore e mille sensi di colpa.

Era giusto?
Era sbagliato?
Ero incontrollabile?
Avevo perso il senso della realtà?
Dovevo restare lì, oppure sarebbe stato meglio scappare via, tenermi alla larga da lui?
Rimanevo sospesa tra ciò che dovevo e potevo fare e ciò che sapevo non avrei dovuto e potuto: era una strana sensazione di costante confusione ed era tutta colpa di Gabriel.
Non sapevo come muovermi e comportarmi, ma, in quel momento, non avevo tanta voglia di indagare a fondo, farmi domande e provare ad analizzare il mio comportamento folle e senza controllo, probabilmente, la cruda verità era che non si poteva analizzare qualcosa di così istintivo, confuso ed emozionale: mi bastava essere al suo fianco, sentire il suo sguardo addosso, il suono roco e profondo della sua voce, il profumo del suo balsamo e tutte le cose che mi sembrava di notare in un ragazzo per la prima volta. Quelle cose erano sempre state lì, davanti ai miei occhi, eppure non me n'ero mai accorta, ora avevo aperto gli occhi, ora sapevo che l'altro lato del cielo poteva essere estremamente attraente. Quindi, mentre mi perdevo in mille pensieri romantici e sdolcinati sul suo conto, mi lanciò un'occhiata complice da scavezzacollo, un po' malandrina, come se fosse sul punto di farla grossa, salvo poi rendersi conto di volere qualcuno che condividesse il suo peccato.
E, per quella sera, aveva deciso che la complice dovessi essere io.
-Mi sto annoiando – borbottò a mezza voce, guardando la massa di adolescenti mezzi ubriachi che avevamo di fronte. Alzai gli occhi verso di lui, ma non mi diede il tempo materiale per reagire: - Vieni con me – disse prendendomi il bicchiere e appoggiandolo sul bancone di quel bar improvvisato, che, di fatto, era semplicemente la penisola di una cucina iper-moderna.
-Aspetta! – risposi colta di sorpresa, incespicando nei miei stessi passi, mentre mi trascinava attraverso il salone, spostando le persone con un'occhiata perentoria, un sorriso o un gesto della mano.
Gabriel sembrava il padrone di casa, non l'ospite invitato.
Avrei dovuto capire che i guai erano dietro l'angolo visto che con lui non ci si riusciva proprio ad annoiare.
Mi trascinò correndo attraverso stanze deserte, stanze da cui provenivano rumori di baci, carezze e cose che preferivo non sapere, stanze dove gente rideva, stanze in cui si sentiva solo musica assordante e stanze in cui qualcuno piangeva; correva come se qualcuno ci stesse inseguendo, come se stessimo fuggendo da un nemico, come se, di stanza in stanza, ci fosse nuova aria da respirare e lui avesse solo bisogno di ossigeno.
Mi ritrovai a ridere come una bambina, tenendo stretta la mia borsetta con una mano, mentre l'altra era nella sua, coccolata, protetta, tirata, fino a quando non l'avrebbe lasciata, mano deserta, mano inutile, mano che non avrebbe più avuto scopo d'essere, mano che esisteva solo perché la teneva Gabriel, Gabriel bellissimo, di sole, di anni giovani, bello di una bellezza che non vedevo solo io, ma era palese, inevitabile, travolgente, era precisamente tutto quello che avrei mai desiderato nella vita. Ma cosa aveva messo nella mia bibita? Avevo detto che non volevo ubriacarmi, ma ora ero ubriaca d'amore, pronta a seguirlo fino all'inferno.
Rideva anche lui e le nostre risate echeggiavano come musica per quella villa che, all'apparenza, sembrava perfino più grande della mia.
Quasi leggesse nella mia mente, con il fiato corto, mi disse:
-Questa villa ti ricorda casa tua, no?
-No. Questa è più grande – seguivo i suoi passi nella penombra, senza paura, senza pensare, senza nemmeno un rimorso o uno scrupolo.
-È più piccola – mi corresse voltandosi, ricci scomposti e un sorriso meraviglioso sul volto – non riesci a rendertene conto: casa tua è come un palazzo.
-Non esagerare – lo rimproverai scrollando i capelli. Lui si fermò di botto e mi fermai anche io, quasi finendogli addosso, col fiatone, con il cuore in gola, in una stanza qualsiasi, una stanza deserta dove nessun altro, al di fuori di noi, respirava.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz