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Attraversai il giardino correndo furtiva e silenziosa come un ninja, per non farmi vedere e coglierlo impreparato, non volevo che mi vedesse arrivare e non volevo avesse il tempo di prepararsi un discorso: lo avrei colto di soppiatto, in modo da non permettergli di alzare le difese nei miei confronti; dopo essere sgusciata fuori di casa, avevo percorso il perimetro della villa fino alla parte del parco che dava le spalle all'ingresso principale, quella stessa parte che vedevo dalla finestra della mia camera da letto. Percorsi in fretta il giardino curatissimo, raggiungendo col cuore in gola il limite estremo: nessuno sapeva che nella perfetta siepe curatissima, poco vicino all'angolo nord del giardino, nascosto dietro ad un salice piangente, c'era un buco.

C'era da anni: l'avevamo creato io e Claudio per entrare ed uscire di casa senza farci notare da nessuno: per settimane, dandoci il cambio e lavorando come spie in missione, avevamo furtivamente tagliato foglie e rami per realizzare un varco che diventasse una fuga verso la libertà, lontano dai litigi, dall'atmosfera ossessiva e soffocante che respiravamo in casa. Dopo aver completato la nostra opera, avevamo istruito alla perfezione il giardiniere: quel pertugio tra gli arbusti non avrebbe mai dovuto essere riparato o riempito, anzi, al contrario, doveva essere mantenuto aperto, ma al tempo stesso nascosto, sarebbe stato il nostro piccolo segreto, i nostri genitori non dovevano saperlo.

E, difatti, non erano mai venuti a conoscenza del nostro passaggio per la libertà.

Io ne avevo approfittato pochissime volte, in realtà solo per provare a me stessa che potevo farcela, mentre Claudio aveva utilizzato quella via di fuga fino all'estremo.

Sbucai dalla siepe con qualche foglia secca infilata tra i capelli, un lieve graffietto sulla guancia e un filo tirato nel vestito: il piccolo varco che avevamo creato con cura era diventato un po' troppo stretto per la diciassettenne allampanata che ero diventata col passare degli anni. Mi scrollai da addosso ciò che potevo alla bell'e meglio e, sperando di non sembrare il mostro della laguna, mossi qualche passo verso il ragazzo seduto per terra sul marciapiede di fronte a me.
Distolse di scatto lo sguardo dal punto che stava fissando da un po' per osservarmi: sul suo viso si dipinse un'espressione sorpresa, forse anche dovuta un po' al mio aspetto trasandato, di certo non si aspettava di vedermi spuntare tra frasche che sembravano all'apparenza impenetrabili. A grandi passi mi avvicinai a lui, mettendo a fuoco in rapida sequenza la massa informe di capelli ricci, il viso concentrato, la bocca leggermente aperta in una smorfia sorpresa, la maglietta consumata, i jeans strappati sulle ginocchia e un paio di scarpe da tennis bianche.
Meravigliosi occhi verdi, chiarissimi, così intensi da vederci dentro praterie, smeraldi, mari incontaminati, così brillanti che davano luce a tutto il viso.

Un viso angelico, senza alcuna imperfezione.

Un viso così bello e perfetto che feriva, a guardarlo troppo a lungo.

Un viso che ormai conoscevo in tutte le espressioni, anche le più diverse.

Era il ragazzo della foto, lo stesso che avevo intravvisto qualche ora prima al funerale di Claudio, con il quale avevo scambiato poco più di uno sguardo, uno sguardo che, però, era valso più di mille parole, più di mille discorsi, di mille anni di dialoghi e confidenze, anche se non sapevo spiegarmi il perché o cosa me lo facesse pensare.

Da quel semplice sguardo, avevo capito che c'era qualcosa che lo legava a me e quel legame, con ogni probabilità, era proprio rappresentato da Claudio.

O dal suo ricordo, non ne ero ancora certa.

Per qualche secondo temetti di averlo spaventato, che sarebbe scappato via come una bestia selvatica abbagliato all'improvviso dai fari di una macchina, mentre in realtà era solo sorpreso di vedermi sbucare tra la frasche. Non potevo dargli torto: avevo una massa di capelli neri scarmigliati intrecciati di foglie, un vestitino da pochi soldi che sembrava più adatto ad una bambinetta dell'asilo e un paio di ciabatte in plastica, niente trucco, niente di niente.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ