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Sbattei le ciglia due volte, prima di assimilare ciò che aveva appena detto, poi balbettai, in preda al panico, mentre il cuore mi saltava in gola, prendendo a battere velocissimo:
-Una festa? A quest'ora?
-È sabato sera e sono solo le dieci e mezzo: la notte è ancora giovane. Non mi dire che vuoi andare a dormire?

-Ma io non ho il permesso di uscire – cercai di tergiversare, non perché non volessi andare, ma solo perché ero terrorizzata all'idea di seguirlo: sapevo che se gli avessi detto di sì, non sarei più tornata indietro, certi errori si commettevano una volta e poi restavano per sempre e Gabriel era l'errore che non potevo permettermi di fare.

-Non devi chiedere il permesso, usciamo e basta – rispose semplicemente, indicando con un cenno del viso la finestra aperta.
-Vuoi che scappi dalla finestra.. come una ladra? - chiesi sbalordita.
-Non mi dire che non l'hai mai fatto: c'è un buco nella siepe del tuo giardino per fuggire di casa e non ti è mai successo di calarti giù da una finestra per uscire di nascosto? - alzò un sopracciglio, pensando, probabilmente, che fossi la persona più noiosa sulla faccia della terra.

E, con ogni probabilità, lo ero davvero.
-Ma certo che no! – risi nervosa, passandomi una mano tra i capelli – In genere passavo dal giardino. Quello era più per Claudio, che per me. Mi faceva piacere aiutarlo a costruire quel buco nella siepe, ma a me... a me non è mai servito.
-Allora, andiamo, c'è una prima volta per tutto – si avvicinò al mio armadio e lo aprì con un gesto secco, prese in esame i miei vestiti allineati e li scorse in fretta – scegli qualcosa di carino.
Lo affiancai perplessa, malgrado tutto, incapace di dirgli no, di contraddirlo o obiettare. Presi il primo vestito che mi capitò per le mani, un abitino celeste con le spalline sottili e un delicato disegno floreale che partiva dall'orlo fino allo scollo e glielo mostrai dubbiosa:
-Si intona col colore dei tuoi occhi – commentò lanciandomi uno sguardo che non seppi interpretare.
O che non volli interpretare, perché mi faceva un po' paura.
Era sempre così, accanto a lui: un minuto mi faceva sentire protetta, come se nulla di brutto al mondo mi potesse mai succedere, ma, il minuto dopo, la sua sola presenza mi intimoriva, proprio per quel suo essere protettivo fino all'eccesso nei miei confronti.
Ed era lui il pericolo, era lui che avrebbe portato tutti i guai nella mia vita.
Aveva mani grandi quasi quanto la mia faccia, braccia fortissime che avrebbero potuto rompermi le ossa senza nessuna difficoltà, una fisicità quasi eccessiva, che lo portava a non avere la minima remora a afferrarmi la mano, accarezzarmi, sfiorarmi i capelli, ad afferrarmi, quasi fossi cosa già sua, una sua proprietà, un territorio marcato, che nessuno doveva invadere. Qualcosa, nel suo atteggiamento, diceva che mi considerava sua, che nessuno, al mondo, aveva il diritto non tanto di portarmi via da lui, ma anche solo di guardarmi, di mettere gli occhi su di me.
Mi avrebbe fatto venire un infarto.
Mi avrebbe portata all'inferno.
Mi avrebbe cambiata da capo a piedi.
La mia testa mi gridava di voltargli le spalle e dirgli di no.
Ma la mia testa girava e il mio cuore batteva troppo forte.
Quel ragazzo mi avrebbe fatta impazzire.
Voglio dire: non succedeva mica tutti i giorni quello che mi stava succedendo in quel momento!
La cosa da un lato mi lusingava, mi faceva sentire unica e speciale, ma dall'altro mi metteva a disagio, perché non ero abituata ad attenzioni del genere, non sapevo come interpretarle né gestirle: quella non era matematica, scienza o filosofia, era chimica, ma non del tipo che si poteva studiare a scuola.
Gabriel era un cane sciolto e non sapeva l'effetto che aveva su di me.
O, forse, lo sapeva molto bene e ci giocava su: in fondo non sapevo nulla sul suo conto, non sapevo la sua mappa cromosomica, il suo background, il suo DNA, non conoscevo la piega interna della sua anima, i suoi pensieri più segreti o il suo passato. Potevo aver studiato mille argomenti diversi, parlare fluentemente quattro lingue, avere i migliori voti a scuola ed essere considerata una delle più brillanti studentesse che mai avessero frequentato il mio collegio che, non era da dimenticare, era uno tra i più prestigiosi del mondo, uno tra i più costosi, antichi, polverosi.
Potevo avere cultura e conoscenza, il migliore dei curriculum, ma non sapevo niente su come ci si comportasse coi ragazzi: Gabriel era un bellissimo, misterioso, affascinante punto interrogativo a cui non sapevo come venire a capo. Sapevo che era pericoloso, che mi attirava a sé e mi terrorizzava al tempo stesso: sapevo che avrei dovuto evitarlo, scappare, avrei dovuto tenermi alla larga da qualcuno che non piaceva alla mia famiglia, che veniva ritenuto la causa di tutti i nostri problemi, perfino del dramma che era costato la vita a mio fratello.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now