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Uscii di casa nel primo pomeriggio, col sole alto nel cielo e una leggera brezza che muoveva le cime degli alberi, avevo lasciato un laconico biglietto per i miei, in cui dicevo che uscivo per una passeggiata e che, con ogni probabilità, mi sarei fermata a visitare un'immaginaria mostra temporanea in centro. I miei non avrebbero controllato, le mie indicazioni erano state vaghe e quella piccola, innocente, bugia avrebbe dovuto concedermi un margine di tempo sufficiente per portare a termine quello che avevo in mente.

Avevo annotato l'indirizzo misterioso segnato sull'agenda di Claudio e avevo intenzione di fare un salto per vedere di che si trattasse e perché fosse così importante per lui.
Non sapendomi orientare per le strade di Milano, mi fermai ad una cabina telefonica e chiamai il servizio taxi. Tipico, mi rimproverai mentalmente: la ragazza viziata, col portafoglio sempre pieno di soldi e un passaggio pronto ad aspettarla. Mi odiai, mi detestai, mi sarei volentieri presa a schiaffi, mi sentii una sciocca ragazzina incapace di muovere un passo senza l'aiuto di papà, senza i soldi di papà, senza l'approvazione di papà.

E lo ero, lo ero davvero.
Ma avere un autista non aiutava il mio senso dell'orientamento.
Una macchina passò a prendermi dopo cinque minuti; avrei potuto chiedere un passaggio all'autista, pregandolo di non farmi troppe domande e non raccontare nulla ai miei, ma preferii non coinvolgere nessuno: dovevo mettermi nei guai da sola e, eventualmente, riuscire ad uscirne con le mie forze.
Il tragitto fu breve, non più di un quarto d'ora, durante il quale, il tassista mi lanciò occhiate perplesse dallo specchietto retrovisore, chiedendosi quali fossero le mie intenzioni, cosa ci facesse una ragazzina tutta sola in giro in taxi, perché mi allontanassi da casa, perché avessi l'aria così preoccupata. Mi fissava come se fossi Cappuccetto Rosso che si avviava tra le fauci aperte del lupo cattivo, mentre giochicchiavo con le asole della mia salopette di jeans.
Non mi chiese nulla ed apprezzai la discrezione, anche perché non avrei saputo che rispondere.
Volevo sbirciare nel passato di mio fratello?
Volevo sapere che cosa gli passasse per la testa, prima di morire?
Volevo carpire i suoi segreti? I progetti? Le speranze?
Semplicemente, conoscerlo un po' meglio?
Pagai il tassista ed osservai la macchina allontanarsi lungo la strada deserta: ero relativamente poco lontana da casa, ma non conoscevo nulla di quel quartiere, così diverso dal mio da non sembrare nemmeno appartenente alla stessa città. Mi ero avvicinata alla periferia, lontano dal glamour del centro e dal quartiere benestante e tranquillo in cui vivevo, lì era tutto diverso, i palazzi erano strutture popolari scrostate, i vialoni deprimenti, tutti ugualmente grigi, senza alberi o cespugli, poca gente in giro, nessun ristorante, poche attività dall'aria misera e poco fiorente. Controllai l'indirizzo e il numero civico, camminai per qualche metro, un po' spaesata e preoccupata dall'idea di perdermi e mi ritrovai davanti ad un'officina meccanica, piuttosto grande, con un'insegna nera su sfondo bianco, qualche macchina parcheggiata all'ingresso, alcune con un disperato bisogno di una revisione radicale.
In apparenza, l'attività sembrava deserta, ma, rispetto agli altri negozi, sembrava fiorente, attiva, con parecchio lavoro in attesa di essere sbrigato; mi infilai furtivamente nel portone semiaperto e sgusciai all'interno, sperando di passare inosservata il più a lungo possibile. Mi chiesi perché Claudio avesse segnato con cura quell'indirizzo, che cosa significasse e che intenzioni avesse, mentre mi aggiravo tra le macchine in attesa di riparazione, pile di pneumatici pronti per essere montati e una serie di pezzi di ricambio di cui non avevo la più pallida idea della funzionalità.
Mi guardai intorno smarrita, senza avere la precisa idea del da farsi, fino a quando una voce alle spalle non mi fece sobbalzare:
-Ragazzina, che ci fai qui? - mi voltai di scatto, trovandomi a tu per tu con un uomo alto circa due metri, con un fisico possente, muscoloso, piccoli occhi chiari, barba folta che celava un mento aguzzo e un'espressione che mi sembrò tremendamente malvagia sul viso. Sembrava parecchio infastidito dalla mia presenza, quasi avessi violato il suo habitat naturale e, in effetti, tra pile di gomme, pistoni e bulloni ero alquanto fuori luogo e la sua faccia non lasciava presagire nulla di buono.
Feci per aprire bocca, ma non seppi che dire.
Perché ero lì e che pretendevo di raccontargli?
Avevo trovato questo indirizzo sull'agenda di mio fratello morto e volevo sapere di che cosa si trattasse? Già, così sarei passata per la copia più giovane e disadattata della signora Fletcher.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now