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Non mi mossi di un centimetro.
Non si mosse neppure lui.
Il tempo si era fermato, in attesa di sapere che cosa avessimo deciso di fare.
-Chloé – mi implorò, sbattendo gli occhi una volta, lentamente, incredulo – non puoi..
-Cosa non posso? - chiesi aggrottando la fronte.
-Non puoi avercela con me perché ho cercato di proteggerti. Non ci credo. Non sei così.
-Non ce l'ho con te.
-Ah, no? - domandò ironico, alzando un sopracciglio.
-No. Ma mi hai spaventata a morte.
-Ti ho chiesto scusa! - esclamò esasperato, allargando le braccia.
-Già, ma a volte... a volte...
-Le scuse non sono sufficienti? - chiese, abbassando il tono e rendendosi conto che la situazione, il mio stato d'animo, ciò che era successo era ben più grave di quanto pensasse. Non sarebbero bastate delle semplici scuse per sistemare tutto.
Restammo in silenzio qualche secondo, cercando di calmare il pensiero e il battito del cuore.
-Penserai che sono esagerata, che sto complicando le cose e che... che sono una ragazzina – attesi che mi contraddisse, ma rimase zitto – La verità è che io sono una ragazzina. Ho solo diciassette anni, non ho mai fatto niente di particolare, se non studiare ed obbedire alle regole. Sono una brava ragazza un po' noiosa. Non faccio parte di questo mondo dove le cose si risolvono così.
-Chloé, so che non dovrei dirtelo, ma voglio trattarti da donna, non dalla ragazzina che ti ostini a credere di essere: dici che non dovevo picchiarlo, che non dovevo staccarlo da te, ma chiamare la polizia. Sai cosa avrebbe fatto, se solo gli avessi concesso il tempo per farlo? - questa volta fu il mio turno di rimanere zitta, mentre deglutivo così forte che il rumore quasi echeggiò in quel vicolo buio – Ti avrebbe spezzato il collo e gli sarebbe bastata una sola mossa, solo qualche secondo in più. Se solo si fosse reso conto di essere stato scoperto, avrebbe fatto una cosa del genere. Se non fossi arrivato, ti avrebbe fatto male, credimi, male davvero. Quel ragazzo non ha niente da perdere: non si sarebbe fermato di fronte a niente, non potevo dargli il tempo di reagire. Non c'era tempo per la polizia. La polizia, in questi casi, non arriva mai in tempo. Non arriverà neanche in questo caso, anche se sono stati commessi diversi reati: nessuno può denunciare nessuno, perché tutti abbiamo colpe. E mi spiace se questo è il mio mondo e tu non riesci a capirlo, non è solo questo, ma è anche questo. Non ne vado orgoglioso e non mi piace nemmeno, ma le cose stanno così, almeno per ora.
-Si può sempre cambiare – mormorai, cercando di assorbire tutto ciò che aveva detto.
-Già. Ogni cosa a suo tempo. Ma non credere che passi la mia vita ad aggredire persone innocenti: attacco solo quando vedo un pericolo concreto. Non sono pazzo, non ho problemi di gestione della rabbia e non mi sfogo così, mi sto solo difendendo, lo faccio da una vita.
-Non credo che tu sia pazzo.
-Ma pensi che sia pericoloso.
-Non lo sei? - ribattei, alzando un sopracciglio.
Si mosse a disagio, roteò gli occhi e rispose bruscamente:
-Vorrei che tu non mi vedessi così.
-E come dovrei vederti? - chiesi, cercando di non piangere come una bambina, visto che mi aveva trattata da donna. Gli diedi le spalle, perché non solo non riuscivo a guardarlo in faccia, ma non potevo nemmeno percepire la sua presenza di fronte a me – Come un principe azzurro? Come un amico? Qualcuno con cui, ogni tanto passare un po' di tempo? Un bulletto di periferia? Un salvatore? Un eroe? Una persona violenta? Gabriel io non riesco a conoscerti fino in fondo, perché sei sempre diverso, ogni volta.
-Potresti semplicemente pensare che sono arrivato per salvarti e... avrei fatto di tutto per portarti al sicuro.
Mi zittii, ricacciando indietro le lacrime, voltandomi lentamente verso di lui.
-Mi hai salvata – finalmente ricambiai il suo sguardo e lessi preoccupazione e rammarico. Dopotutto era vero: se non fosse intervenuto, Dio solo sa cosa sarebbe successo, quel tizio aveva tutta l'aria di avere le peggiori intenzioni nei miei confronti, sarebbe bastato qualche altro minuto e, probabilmente, sarebbe stato troppo tardi per fermarlo. Mossi nervosamente le mani, rendendomi conto che i polsi mi facevano molto più male di qualche minuto prima. Quella stanza era deserta, isolata dal resto della casa, non sapevo come mi avesse trovata, ma se non mi fosse venuto subito a cercare, se avesse fatto passare qualche altro minuto... beh, forse avrei avuto a che fare con qualcosa di ben peggiore e più spaventoso di un paio di polsi pieni di lividi, anche se preferivo non pensarci troppo.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now