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Venni presa in custodia da una rigida signora tedesca, che mi prese per una spalla, un po' come, qualche tempo prima, aveva fatto Denti da squalo.
-Mi chiamo Christina. Ti seguirò ovunque – sibilò rozzamente, nell'accento volgare di una lingua che ero stata obbligata ad imparare – non pensare di sfuggire al mio controllo, non ci provare neppure, perché non è possibile. Da oggi in poi, farai quello che ti dico, non ti rifiuterai, non disobbedirai, non dirai nemmeno una parola storta, perché ciò che ti dico è ciò che ti dice tuo padre. E non dovrai mai mettere in discussione i suoi ordini, fino a quando sarò con te.

Annuii, docile, remissiva, abbassando gli occhi sulla punta delle mie scarpe da ginnastica.
Non aveva alcun senso opporre resistenza, fare la ribelle, la spiritosa, non aveva più senso combattere. Ormai, niente aveva più senso.
Mio padre era riuscito nel proprio intento: aveva abbattuto il mio spirito, rendendomi una ridicola controfigura di me stessa.
Salimmo sul treno, ci accomodammo al nostro posto prenotato in prima classe: un viaggio di lusso verso una tomba gelida. Appoggiai la mia borsa sulle ginocchia e, distogliendo lo sguardo dai vistosi peli in faccia della mia tutrice, fissai gli occhi fuori dal finestrino dello scompartimento.
Una banchina oltre a quella dove sostava il mio treno in attesa di partire, una coppia si stava dando un passionale bacio d'addio. Speravo, piuttosto, di arrivederci: per quel giorno, bastava la mia partenza.
Un bimbo teneva per mano il nonno, che lo guardava con occhi adoranti.
Una signora accarezzava il proprio cagnolino.
Due ragazzi giovanissimi, adolescenti, si tenevano per mano, camminando lentamente, senza fretta.
E.
Poi.
Una testa di ricci neri.
Occhi verdi da togliere il fiato.
Labbra carnose, rosa come ogni promessa mantenuta.
Una maglietta verde, in coordinato perfetto con quegli occhi che avrei riconosciuto tra mille e un paio di jeans dall'aria vissuta.
Bello come il sole.
Bello come la cosa più bella che la primavera, la nostra giovane età, la speranza, l'amore ci potessero regalare.
Bello di una bellezza talmente perfetta che volevo imprimerla a fuoco negli occhi.
Non osai muovere un muscolo.
Il cuore mi cadde nei calzini.
Trattenni il respiro, fingendo di non essermi accorta della sua presenza, sperando di smettere di respirare, di diventare semplicemente invisibile.
Sgranai gli occhi e li fissai su di lui, mentre lui mi guardava già da tempo, quasi sperando che, se mi avesse guardato così intensamente, avrebbe attirato su di sé la mia attenzione.
In qualche modo, era riuscito ad evadere la rete di sicurezza che mio padre aveva tessuto intorno a me, era arrivato vicino, molto vicino.
In pratica, ad un soffio dal mio cuore.
Teneva in mano una serie di cartelloni, sui quali aveva vergato parole che, dapprima, stentai a leggere capire e non perché non fossero chiare o perché la sua calligrafia fosse illeggibile, visto che aveva scritto in un limpido stampatello.
Ero proprio io che non riuscivo ad azionare i miei neuroni e a tradurre quei segni neri su cartoncino bristol in frasi di senso compiuto.
Amore mio, splendido, fragile, fiero, dolce, forte amore mio.
Cartellone a terra. Nuovo cartellone.
Tieni duro. Ovunque sarai, ci sarò anche io.
Cartellone a terra. Nuovo cartellone.
Sono sempre, sempre ("sempre" sottolineato, con tanto di punti esclamativi), al tuo fianco.
Cartellone a terra. Nuovo cartellone.
Sei il mio amore, lo sei adesso, lo sarai domani, fra dieci giorni. O dieci anni (una faccina triste disegnata accanto alla parola "anni").
Cartellone a terra. Nuovo cartellone.

E il mio cuore batteva così forte che, probabilmente, tutto lo scompartimento del treno lo poteva sentire.

Sei il mio primo, vero, unico amore. Nessuno mai prenderà il tuo posto, nel mio cuore. Sarai sempre qui, dentro di me, in ogni cosa farò, ogni posto che visiterò. Ovunque sarai, sarò lì con te. Ovunque sarò, sarai lì, al mio fianco.

Il mio cuore fermo. Spento. Annerito.

Cartellone a terra. Nuovo cartellone.

Te ne vai e ti porti via una parte di me, lasci qui una parte di te, così sarò lì, così sarai qui.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now