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Dopo aver tergiversato un po', perdendo tempo e facendo una strada più lunga giusto per stare insieme qualche minuto in più, ci ritrovammo proprio dove c'eravamo incontrati qualche ora prima.

Ormai era calata silenziosa la sera e pensai che sarebbe stato meglio farmi ritrovare a casa prima del ritorno dei miei.

-Quindi... - borbottai senza sapere esattamente che dire. Avrei voluto ringraziarlo, dirgli che averlo conosciuto aveva cambiato la giornata da tremenda a passabile, che era anche riuscito nell'impresa quasi impossibile di farmi ridere e gliene sarei stata eternamente grata. Avrei anche voluto dirgli che mi sarebbe piaciuto rivederlo, anche solo per mangiare insieme un gelato, per un'altra passeggiata inconcludente intorno a casa, per qualsiasi cosa.

Mi sentii sciocca e fuori posto, visto che non riuscii a dire o fare niente, se non fissarmi la punta dei piedi come se fossero diventati all'improvviso interessantissimi.

-Grazie per il tuo tempo – si passò nervoso una mano tra i capelli, scarmigliandoli ancora di più. -Dovrei essere io a ringraziare te – lo corressi, prendendo il coraggio a due mani – sei stato tu a farti trovare qui e hai reso la mia giornata meno schifosa di come era iniziata.

-Sapevo come trovarti – storse il naso – lo so che sembra la minaccia di un maniaco, ma non è così.

-Lo so – soffocai un sorriso, pensando che, malgrado tutto, da quando lo avevo conosciuto, non solo ero riuscita a piangere, ma anche a ritrovare il mio sorriso.

Gabriel era stato una bella terapia d'urto, come uno schiaffo e poi una carezza.

-Allora... - abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, che, erano interessanti quanto le mie, si morse un labbro e disse: - potremmo rivederci, se ti va.

-Mi va – risposi troppo in fretta.

Gabriel sorrise e, per qualche secondo, rimanemmo come due idioti l'uno di fronte all'altro: dovevo tornare a casa, dovevo salutarlo, dovevo piantarla di fare l'adolescente, ma tutto, in me, mi obbligava a fare l'esatto contrario: volevo restare lì, a due centimetri da lui, volevo perdere tempo e perdere le parole, volevo tergiversare e dimenticare la mia vita reale, volevo perdermi nei suoi occhi e arrossire, sentendomi scema. Potevo essere intelligentissima, istruita, colta ed educata, ma alla fine avevo pur sempre diciassette anni e, come tutte le mie coetanee, anche io ero fallibile.

Ero quello che ero: un'adolescente, con una mente fin troppo sveglia e brillante, quindi più complicata e paranoica. Se fossi stata stupida e frivola, come tante altre ragazze che conoscevo, non mi sarei fatta così tanti problemi, non avrei avuto tutta quella paura, non mi sarei fatta tutte quelle domande.

Non riuscivo a buttarmi a cuor leggero in quella... frequentazione? Conoscenza? Non sapevo nemmeno come definirla. Ma sentivo che era forte, che era travolgente e pericolosa, che avrebbe cambiato tutta la mia vita; sapevo che, una volta fatto entrare Gabriel nel mio mondo, non sarebbe più stato possibile tornare indietro.

-Domani? - mi suggerì con un'occhiata complice.

-Domani – confermai – stessa ora, ci vediamo qui.

Non gli diedi il tempo di ribattere, attraversai di corsa la strada e raggiunsi la siepe del giardino. Tastai le frasche alla ricerca del pertugio che mi riportava alla mia vita, non appena lo ebbi trovato, mi voltai verso di lui: era rimasto lì, fermo, a guardarmi, serissimo, lo sguardo fisso su di me, pensieroso, sconvolgente. Alzai una mano in cenno di saluto e mi concessi un ultimo sorriso, sperando di non sembrare frivola, sentendomi al tempo stesso strana, leggera e in colpa.

Ricambiò il mio saluto, mano alzata, e il suo viso venne trasfigurato da un dolce sorriso limpido: Gabriel riusciva a passare da tenebroso e quasi spaventoso ad adorabile, forse era colpa delle fossette, o della bocca carnosa, o forse degli occhi che mutavano dal verde più scuro, allo smeraldo, al verde quasi trasparente.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz