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Doveva essere lui, fin dal primo momento.
Fin dal primo sguardo.
Dal primo respiro.
Dal primo battito del mio cuore nel momento in cui s'era perso per lui.
Dalla prima volta in cui aveva sorriso, in cui gli avevo sorriso.
Doveva essere lui, avrei dovuto riavvolgere il nastro della mia breve vita, per ricominciare tutto da capo e far sì che diventasse il primo, il solo, l'unico, l'ultimo, quello che mi doveva stare accanto, quello che, se mai mi fossi allontanata, mi avrebbe raggiunta in pochi passi, quello che mi avrebbe insegnato tutto, perfino come baciare.

Quello che sarebbe stato attento, premuroso, gentile: avrebbe messo me davanti a tutto, anche alle sue necessità di uomo, avrebbe avuto pazienza e mi avrebbe aspettata, accettando le mie paure e i miei limiti.
Sarei stata il primo dei suoi pensieri, l'ultima che avrebbe visto prima di dormire, la prima per cui preoccuparsi, per cui far battere il cuore, l'ultima che l'avrebbe deluso o tradito.

Doveva essere il mio primo bacio.
Avrei voluto fosse l'ultimo e non l'ultimo in assoluto, ma l'ultimo ragazzo da baciare, perché il suo sarebbe stato un bacio indimenticabile, da ricordare anche fra due, dieci, mille anni.
Doveva essere lui a prendersi cura di me.
Doveva essere lui, in quel preciso momento, ad avvicinarsi, piano piano, così lentamente che, di certo, nell'attesa, morii mille volte e mille ancora.
Doveva essere lui ad appoggiare quelle labbra carnose sulle mie, con una dolcezza protettiva e rassicurante in netto contrasto con il suo aspetto virile e quel suo atteggiamento che, a volte, poteva essere davvero intimidatorio.
Doveva essere lui a baciarmi per la prima volta e quella era una certezza incrollabile.
Beh, lui doveva essere il mio primo bacio, non il secondo, non il terzo né uno qualsiasi, per il semplice motivo che quel primo bacio che mi diede, il primo di una lunga serie di baci memorabili, fu la cosa più stupefacente, emozionante, assurda, pazzesca, incredibile che avessi mai provato in tutta la mia vita.
E, visto che il primo bacio doveva essere qualcosa da custodire nel mio cuore fino all'ultimo dei miei giorni, sarebbe stato meglio l'avessi dato a lui.
Il primo che mi avesse davvero fatto battere il cuore, anche se era così cliché da mettersi le mani nei capelli, era proprio la verità nuda, cruda, semplicissima: Gabriel era il primo, sarebbe stato l'ultimo, sarebbe stato per sempre.
Volevo solo stringerlo ancora, volevo giocare a nascondino e poi a carte scoperte con i miei sentimenti e i suoi, volevo prendere tutto ciò che provavo e metterlo in parole, in azioni, ma anche in silenzi, sguardi, abbracci, gesti.
Era valsa la pena aspettare diciassette anni, per vivere quei minuti in cui il mondo stesso si fermava di colpo, congelato, sospeso, e tutto, ogni cosa, ogni singola, minima, piccolissima cosa, mi sussurrava che doveva essere lui, solo lui, sempre lui.
Ci doveva essere qualcosa, nell'aria, perché mi sentii bene.
All'improvviso, mi sentii tranquilla, senza paura, emozionata, sì, ma non spaventata: non ero più intimorita da lui o dalla sua esperienza, in un qualche modo molto strano e contorto, sapevo che quello che stava succedendo era inevitabile, avrei anche potuto rimandarlo o scappare, ma quel bacio era lì, in attesa di essere dato, se non fosse stato proprio in quel momento, prima o poi sarebbe successo, perché ci sono cose che sono devono semplicemente accadere.
E non importava quanti giri avesse fatto la vita, perché, prima o poi, mi sarei inevitabilmente ritrovata tra quelle braccia, il cuore in gola, gli occhi chiusi, tutta la mia stessa vita messa in stand by.
Bastò che mi baciasse per un secondo, per farmi sentire in controllo della situazione.
Ovviamente, non stavo capendo nulla.
Sapevo a malapena il mio nome.
L'anno in corso.
Dove mi trovavo.
Ma, quello, proprio a stento, perché poteva essere la mia camera da letto, una panetteria, la stazione ferroviaria o Guadalajara, in Messico e non avrebbe fatto una grande differenza.
Ora volevo solo sentire ancora il sapore delle sue labbra e vivere quel momento come se fosse stato il primo, l'ultimo, l'unico.

Perché i muri cadevano, il pavimento cedeva sotto ai miei piedi, ma io restavo tra le sue braccia forti, tranquilla, immobile, serena: sentivo una sua mano dietro alla nuca, accarezzarmi leggermente tra i capelli ancora un po' umidi, l'altra appoggiata alla base della schiena, non proprio sul sedere, perché non sarebbe stato il caso, ma nemmeno sulle spalle perché quello non era il bacio di un amico.
Sentivo il suo respiro caldo e lieve sulle ciglia, il tocco del suo naso che premeva sulla mia guancia, le sue mani grandi addosso, protettive e, al tempo stesso, minacciose, perché sapevo che erano mani che potevano accarezzare e farti sentire una regina e la ragazza più fortunata del mondo, ma potevano anche rompere ossa, per quanto cercassi di dimenticare la sera della festa, quel particolare momento in cui mi era sembrato spaventoso e cattivo. Sentivo il suo petto contro al mio, così grande e rassicurante, sentivo il suo cuore, che batteva forte, anche se ogni rumore mi pareva sopraffatto dal battito assurdo del mio, che sentivo nel petto, nelle ginocchia, nella gola, fin dentro alle orecchie.
Un vento leggero d'estate sfiorò leggermente il nostri corpi così stretti da sembrare un unico groviglio di mani, braccia, gambe, capelli e si portò dietro una serie di emozioni spaventose e destabilizzanti.
Portai d'istinto una mano al suo viso, accarezzandogli una guancia, sentendo un leggero filo di barba sotto la punta delle dita e, con l'altra mano, feci quello che avrei voluto fare fin dal primo momento in cui lo avevo visto: passai le dita tra i suoi ricci scuri, ci giocai, li toccai dolcemente, li arruffai, intrecciai le mie dita ai suoi capelli e fu la situazione più sciocca, inebriante e senza controllo in cui mi fossi mai trovata in tutta la mia vita.
Non c'era mai stata intimità più profonda con un ragazzo, come in quel momento, mentre, nel buio, prendevo confidenza con il profilo del suo viso.
Non mi ero mai sentita così vicina ed attratta da qualcuno, nemmeno da uno degli attori americani di cui avevo mille poster in camera, al collegio.
Non c'era mai stato nulla, prima di lui.
Non mi ero mai sentita così al centro di qualcosa, dei pensieri di qualcuno e, proprio mentre pensavo che non sarei mai stata più al settimo cielo di così, mi strinse ancora più forte, facendomi mancare il respiro, facendomi perdere nel suo profumo, nel suo tocco, facendomi perdere in lui e, perdendomi nel suo mondo, scoprii una nuova parte di me, perché, per la prima volta, mi sentii affascinante, attraente, mi sentii una donna, non più una bambina inadatta al mondo.
Lui era molto più di un ragazzo.
E quello che provavo era molto più di amore.
A diciassette anni era giusto e naturale che l'amore fosse un sentimento confuso, volatile, passeggero, spesso mutevole; quello che si amava un giorno, il giorno successivo si detestava, tutti parlavano di amore, era commerciale, comune, quasi banale.
Sapevo, invece, che ciò che provavo per lui sarebbe rimasto, non solo per quella sera, quella notte, quella settimana, quel mese o quell'anno: sarebbe durato per sempre, in un modo o nell'altro, fosse anche rimasto assopito in un angolo della mia mente: avrei potuto dimenticare il mio primo bacio, perché quello sì che era destinato a svanire nei cassetti polverosi della mia mente, ma non il mio bellissimo, irripetibile, secondo bacio.
Dopo un tempo che poteva essere durato tre secondi netti, oppure tre vite intere, esausti e, personalmente, imbarazzata, ci staccammo.
Lo guardai come si guarda un marziano.
O la cosa più bella sulla quale avessi mai appoggiato lo sguardo.
Non importava quanto i miei odiassero Gabriel.
Non importava quanto avrei dovuto lottare e piangere e soffrire.
Non importava il numero di bugie che avrei dovuto raccontare, solo per vederlo, anche per un secondo, anche di sfuggita, o di nascosto.
Non importava quali pericoli avessi dovuto affrontare, quante volte avrei dovuto mettere la mia vita a rischio.
Avrei provato al mondo che valeva la pena combattere, sanguinare e credere in quell'amore, al quale dovevo ancora dare un nome, perché amore era riduttivo: era più un'esplosione di colori, di immagini, di sentimenti, tutti insieme, come uno tsunami emotivo che lasciava solo arida terra deserta, distrutta, lacrime, sangue, distruzione.
Ero pronta ad amare, a far uscire tutti i sentimenti che covavo dentro e che non avevo mai sfogato in alcun modo, anzi, avevo sempre represso, ritenendoli non un punto a mio favore, ma un intralcio.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum