53 . Fuoco e sangue

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Astrid si lussò il pollice. Un movimento deciso, secco, come le aveva insegnato Natasha. Ci aveva scherzato su, quando le aveva fatto vedere il procedimento. “Un giorno potrà salvarti la vita” aveva risposto la Vedova da saggia maestra.

Tirò un cazzotto dritto sul muso a Hoffmann e quello cadde all'indietro sbattendo malamente la testa contro la parete. La fiala gli cadde dalle mani e andò a scaraventarsi sul pavimento.

Cacciò la mano libera nei pantaloni, sfilò la chiave con le uniche dita sane trovò la serratura, con l'occhio del tatto, sotto il bracciolo. Infilò la chiave dopo svariati tentativi, perchè le tremava la mano dal dolore. Il bracciale in vibranio s’aprì con uno scatto. Non le parve vero. Strappò la pettorina con la mano buona e liberò le gambe. Buttò giù i piedi, aggrappandosi al carrello per recuperare l'equilibrio che aveva perso, ma il suo peso spinse le rotelle all'indietro e lei atterrò dritta col sedere sul pavimento.

Riaprì gli occhi solo dopo un istante di incoscienza, i pantaloni bagnati dal liquido azzurro che rifletteva la luminescenza delle luci di sicurezza a fibre ottiche che correvano lungo la circonferenza della cella fino alla porta. Il ventre le bruciava da morire. Il pollice non stava guarendo. Le girava la testa, le sirene urlavano.

Si fece coraggio. Si tirò su come un burattino, tirandosi dietro tutti i blocchi separati del suo corpo. Si trascinò fino alla porta lungo la parete, pigiò il bottone per aprire la salacinesca e i vetri e uscì zoppicando. Gettò un occhio alla porta del tunnel. Davanti ad essa si  stavano serrando due portelli blindati. Corse come poteva, ma quelli si chiusero inevitabilmente bloccandola dentro. Batté pugni per la rabbia. Doveva esserci un’altra scappatoia.

Pensa, Astrid, pensa, pensa, pensa...

Era il sotterraneo di una centrale super controllata. Nei corridoi e attorno all’edificio la aspettava un’armata di soldati pronti a spararla dei dardi al sonnifero. Come pensava di scappare?

Alzò lo sguardo al soffitto e trovò una grata. Condotti di areazione, pensò. Nei film di azione che aveva visto prima o poi qualcuno ci passava in mezzo. L'unico problema era arrivarci. Si fiondò verso la scrivania. Gettò a terra con una bracciata ciò che c'era: una lampada, un computer, tutti i fogli e le cartelle impilate, un portapenne, tutto andò a finire sul pavimento. Tirò la scrivania sotto uno dei bocchettoni. Posò una sedia stabile sopra il piano e ci si arrampicò. Provò a staccare la grata con le unghie. Provò a fondere il metallo, ma i poteri non andavano. Scese, aprì cassetti, rovistò tra il marasma per cercare una lama. Trovò una forbice.

Hoffmann tossì.

-Non puoi scappare.

-Ti taglio la gola se parli di nuovo.

Hoffmann ridacchiò cercando di rimettersi in piedi. Un rumore come di una botta pesante contro i pannello blindati la fece trasalire.

Astrid si arrampicò in fretta, da un momento all'altro sarebbero entrate le guardie. Non doveva farsi trovare. Iniziò a fare leva sotto il bordo della grata con tutta la forza che aveva finché non si scollò dall'incastro e cadde di peso sul tavolo. Hoffmann afferrò la sedia e la scaraventò al terreno. Astrid precipitò con essa.

-Non ti farò scappare di nuovo, ora che ti ho ritrovata. - ringhiò il dottore impugnando una siringa con il siero al suo interno.

Proprio in quell'istante, Astrid mise a fuoco una fiala scura a meno di un metro dalla sua mano: era l'antidoto. Afferrò un faldone pesante quanto un blocco di marmo e glielo scaraventò addosso per distrarlo. Si lanciò sulla fiala mentre la siringa le sfiorò una gamba, la sua mano toccò il vetro solo per un istante perché in quel momento un'altra mano era apparsa dal nulla e arrivò per prima.

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