12 . Beviamoci su

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Si rivoltò nel letto tirando tutto il lenzuolo. La finestra del bagno filtrava la luce soffusa della città che non era intenzionata a spegnersi. Erano le tre passate e Astrid comprese che anche con un buio più intenso non sarebbe riuscita a prendere sonno. Era sicura di aver dormito almeno mezz'ora dopo essersi sdraiata, ma era stato più simile a un dormiveglia. Aveva spalancato gli occhi col batticuore, come quasi tutte le notti che ricordava da lì a pochi mesi prima, perché gli incubi e il panico non l'avevano mai abbandonata del tutto e se il giorno parevano acquetarsi, nascosti tra lr distrazioni, nella calma notturna tornavano allo scoperto, più oscuri, più angoscianti, più decisi. Aveva cercato di cancellare quelle immagini dalla testa un milione di volte e anche alla milionesima e uno aveva fallito.

Samantha, la sua collega, la sua inquilina, la sua migliore amica era ancora viva nei suoi sogni. Era viva per qualche minuto, mentre ridevano davanti ad un bar e si dividevano una sigaretta, le fronti colorate dai neon, l'udito ovattato dalla musica troppo alta, un flirt sottile che rimaneva sospeso in un'amicizia sfacciata. Poco dopo, era sdraiata a terra in un bagno di sangue. La corsa inutile verso l'ospedale. Il funerale. La risata di Gus e la sua testa fritta, i bulbi di fuori.

Drizzò la schiena e decise che lì dentro non ci poteva più stare. Si lavò la faccia come se avesse potuto smacchiare le occhiaie profonde che imperavano sotto le ciglia. Fece una smorfia di disgusto verso l'immagine che ritraeva lo specchio e si lasciò la camera alle spalle.

Premette il pulsante per l'attico, le spalle al vetro dell'ascensore e alla città addormentata, che brillava come un tennis di diamanti. Odiava quell'ascensore. Non so capacitava del fatto che le persone riuscissero ad ammirare il paesaggio senza provare vertigini. Pensò che la tortura peggiore che potessero infliggerle era costringerla a guardare in basso, mentre la pedana si alzava.

Sfuggì da un'altra possibile morte precoce e si fiondò verso il piano bar. Afferrò la prima bottiglia e si sedette sul pavimento, snobbando i divani di lusso. Erano solo lei, il suo pigiama sformato, l'alcol e New York. L'avrebbero trovata a dormire sul pavimento? Era probabile. Ma quella notte era troppo dura da ingurgitare. La fece scorrere nell'esofago con un paio di sorsi abbondanti, attendendo la sbornia, perdendosi nei movimenti delle luci tra i palazzi e le strighe delle strade.

-Non dormi?

Astrid trasalì. Tony Stark apparve a piedi scalzi, con un bicchiere in mano e accigliato. Puntò la bottiglia appoggiata sul pavimento e prese un altro bicchiere. Ci buttò dentro del ghiaccio.

-Che avevamo detto di quello?

Si sedette davanti a lei. Sbigottito, notò il livello del whiskey che aveva già superato la metà, e la chiara lucidità della ragazza che sembrava essersi riempita con del succo di frutta. Riempì i bicchieri senza aggiungere altro, non tanto per assecondare un capriccio, ma più per non sentirsi solo al mondo nel suo malessere.

-Pensavo di essere l'unica insonne qui.

-Non sei l'unica a combattere i propri demoni. A che pensi?

-A niente.

-Sai, è scientificamente provato che non è possibile pensare niente.

-Allora diciamo che non mi piace parlarne.

Lo sguardo deciso e solitario, intriso in una recidività nociva, ma solo a sé stessa. L'insonnia l'aveva battuta, ormai era un'avversaria ostile, filatrice di trame e ossessioni, le stesse che mantenevano sveglio anche il brillante essere umano che era Tony Stark. E a lui non sfuggiva nulla, nulla di cui soffrisse anche lui stesso.

-Da quanto non dormi?

-Solo stasera. - mentì lei, senza essere creduta. Fece finta di non percepire il pungente sguardo accusatorio che a fatica le concesse di storpiare la realtà. Bevve tutto d'un sorso dal suo bicchiere. Roteò il vetro tra le dita, per chiederne un altro, facendo tintinnare il ghiaccio all'interno.

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