2 . La fine

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Trascinò i piedi mentre la spingevano dentro un furgone dai vetri oscurati. Abbassò la testa e si sedette in mezzo a due agenti armati da capo a piedi, imbracati di armatura e casco che non lasciavano un solo lembo di pelle scoperta.

I bracciali spessi che le avevano fissato ai polsi e al collo non erano una minaccia per lei, ma non era stupida. Se solo avesse alzato un dito per ribellarsi, i marchingegni sarebbero scattati per infliggere dolori lancinanti come dei teaser e in men che non si dica si sarebbe trovata in cella, al buio e sedata.
Il mondo scorreva veloce dietro i finestrini bui, come la sua vita stava scorrendo veloce dalle sue mani.

Il furgone svoltò e la sua spalla si trovò schiacciata a quella di un militare. Lo squadrò immaginando sé stessa in uniforme, un'immagine rivoltante. Era pronta a farsi saltare in aria se solo l'avessero obbligata a vestirsi così.

Non si era mai pentita di nulla. Aveva sempre fatto scelte istintive, perché erano quelle che le riuscivano meglio. Sentiva ancora l'olio di frittura sulla sua pelle e assaporò tutto l'orrore del ricordo. Tutta la collera raccolta giorno dopo giorno a ricollegare i tasselli di un delitto di cui aveva annusato l'odore molto prima che accadesse, si era risolto in un'unica notte e ora non provava nulla. La sua mente era sospesa nel nulla e dissociata dalla realtà. Aveva solo una sottilissima costante spina di frustrazione che le si arrampicava sulla colonna vertebrale e la tendeva come una corda di violino. Ripercorse con la memoria gli istanti della fine della sua libertà.

*

La sera prima, il turno era stato interminabile. Stava rincasando. Il cielo era limpido e si poteva notare uno spruzzo di stelle cosparso sul manto buio della notte che dominava la città. Camminava con le mani in tasca e nessuno l'avrebbe disturbata se non un paio di gatti che si menavano tra loro nel vicolo. Dalle finestre delle case dismesse, spalancate per approfittare dei primi caldi dell'estate in arrivo, aleggiavano rumori di televisioni accese, un'ambulanza, il traffico, una coppia che litigava animatamente su chi doveva portare fuori il cane. Passeggiava con un dolore nel cuore perchè sapeva che tornare a casa significava convivere con un vuoto assillante. Poco male: avrebbe stappato una bottiglia di vino e se la sarebbe calata tutta. L'unico problema era avere le chiavi.

"Like a Stone" degli Audioslave nelle cuffiette l'aveva fatta viaggiare un po' troppo fuori dalla realtà. Tastò le tasche dei jeans, ma ci trovò solo un pacchetto di chicche accartocciato, il telefono, il portafogli, un elastico per capelli e il buono scaduto di un negozio di abbigliamento. Delle chiavi nessuna traccia. Dove le aveva lasciate? Pensò all'ultima volta che le aveva tenute in mano e si ricordò di averle appoggiate nell'armadietto e poi di essersi distratta mentre parlava con una collega. Si rigirò il telefono in mano, cercò il nome “Clara” in rubrica e lo selezionò. Fece passare qualche secondo finchè non si attivò la segreteria telefonica. Clara non aveva risposto. Doveva tornare al locale per forza. Perciò si rifece tutto il percorso al contrario, calciò un sasso che andò a colpire un tubo di metallo spaventando i gatti che scapparono a nascondersi.

Prima di entrare, notò una macchina parcheggiata davanti alla porta del retro, una vecchia Volkswagen grigia con i fari accesi. All'interno del locale aleggiava un clima di tensione. Tre uomini erano in piedi in mezzo alla sala. Uno di questi si accese una sigaretta. Clara era al bancone ancora in divisa.

-Non si può fumare qui. - fece Astrid per nulla intimidita.

-E tu chi cazzo sei?

Ingoiò la voglia di litigare e diresse verso lo spogliatoio dove incontrò proprio l'uomo che non avrebbe voluto incontrare. Il boss, Anthony Gus, stava rovistando in un cassetto e aveva l'aria di non sapere dove stava mettendo le mani. Come vide Astrid si aggiustò i capelli e l'orologio massiccio sul polso.

Neve E Cenere | MARVEL ❶Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora