34 . Spietata coscienza

2.7K 176 39
                                    

Se ne stava seduta scomposta sul pavimento a fissare un punto vuoto nella stanza. Persa, come un relitto sottomarino, uno di quelli ricoperti di muschi ed alghe, in balia delle correnti e dimenticati dal mondo. Le cuffie nelle orecchie, il volume al massimo, non ascoltava più. La musica la isolava dal mondo, ma non da sé stessa.

Stringeva ancora le forbici in mano. Stringeva le lame, sperando quasi di sentire la carne tagliarsi. Le braccia a incorniciare un ginocchio piegato, l'altra gamba distesa, lungo una retta infinita. Sbatteva solo le ciglia di tanto in tanto. Spostava il fuoco dell'obbiettivo più vicino o più lontano, seguendo con gli occhi il bordo perfetto delle tavole del parquet, come una mappa del tesoro che la guidasse per trovare qualcosa di interessante, qualcosa per cui valeva la pena riprendere il gioco.

Samantha aveva sempre avuto un debole per i suoi capelli selvaggi e Astrid li aveva odiati così tanto in un millesimo di secondo, mentre ricordava quando se li attorcigliava tra le dita smaltate come fossero suoi, che non era riuscita a controllare l'impulso. Una grossa ciocca era rimasta tra le sue mani e da lì si erano susseguiti tagli più ragionevoli e meno azzardati, necessari per rimediare al danno fatto.

La prima volta che si erano incontrate, quando Astrid si era presentata al suo appartamento come nuova coinquilina, la sacca semi vuota in spalla e un biglietto con l'indirizzo tutto spiegazzato tra le dita, aveva i capelli legati in una bassa coda di cavallo, lunga fino a metà schiena. Quelli di Samantha invece erano sempre lucenti e messi in piega con il ferro, perennemente schiacciati sotto un cappello di jeans con la visiera e tra le ciocche sbucavano due cerchi brillanti, grandi quando la circonferenza di un braccio.

Samantha aveva un'autentica passione per l'estetica. Ogni volta che beccava Astrid non pettinarli o non usare i prodotti giusti, prima le tirava le orecchie e dopodiché si proponeva di aiutarla. Per qualche anno era riuscita a renderglieli morbidi e addomesticabili. Aveva preso d'abitudine usufruire di quella chioma abbondante e poco sfruttata per allenarsi in trecce e altre acconciature. Astrid le sopportava per due ore e le slegava prima di andare a dormire, giusto per non darle troppo dispiacere.

Ma ora Samantha non c'era più. Nessuno l'avrebbe sgridata per come si era rovinata l'acconciatura. Nessuno l'avrebbe presa in giro, comparandola ad un animaletto arruffato, per poi provare ad aggiustargliela con una spuntata e un cerchietto, dicendole che le stavano bene comunque, anche se non era vero.

Roteò il capo verso la finestra del bagno, da cui la luce rosea di un sole che scoccava sul suo ultimo quarto giornaliero, filtrava tenue e malinconica. I busti dei grattaceli imponevano la loro ombra sulla città sottostante. Si chiese cosa ne sarebbe stato del suo corpo se si fosse gettata da quell'altezza. Magari da un salto del genere non avrebbe avuto scampo nemmeno lei. Tuttavia non sarebbe stata la cosa peggiore. Lo sarebbe stato scoprire il contrario: sopravvivere e affrontare la vergogna di una sconfitta contro lo scherzo che la natura le aveva fatto per deriderla. Si trovava al capolinea. Di nuovo. Era come se per ogni sforzo che faceva per riprendersi, c'era una forza contraria che le staccava le mani dalla risalita e le tirava un calcio in faccia per farla precipitare.

Non capiva il senso del suddeguirsi di scene confuse che continuava a rivivere e rivivere, in parte come incubi e in parte come eventi traumatici dimenticati. Quelle mani gelate, quelle grida così familiari, quegli ambienti tanto cupi, quel dolore fisico chea soffocava e le strizzava il cervello, talmente vero, talmente insopportabile da toglierle il fiato anche in quel momento. E tutta quella collera cieca e animale, quella furia inarrestabile e incontrollata... Da dove proveniva? Fino a quando doveva continuare quella tortura? Fino a quando avrebbe dovuto combattere contro sé stessa?

A un tocco di nocche si susseguì un debole richiamo. Strizzò gli occhi per rimpicciolire la spaccatura che quell'inflazione aveva creato nel suo rassicurante castello di vetro. Natasha bussò di nuovo. Non avrebbe accettato un'altra risposta muta. Disse che stavano per cenare e che avrebbe dovuto mangiare qualcosa anche lei, se non voleva lasciarsi morire. Eppure non suonava affatto male. Chissà se la sua maledizione avrebbe ovviato anche al problema della fame?

Neve E Cenere | MARVEL ❶Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora