24 . Fiamma vivente

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Corse nel corridoio, raggiunse gli spogliatoi, rovesciò tutto su una panchina. Infilò una gamba, l'altra, un braccio, l'altro. Chiuse la cerniera, dal ventre al seno, godendosi la morbidezza della chiusura che spariva nel tessuto. Indossò le calzature flessibili, i guanti senza dita di cui scoprì un rinforzo strategico a livello dei punti fragili del corpo. Roteò le braccia, torse il busto, fece qualche saltello per provare che non le desse fastidio il tessuto nei movimenti. La vecchia tuta aveva un cartellino pruriginoso sulle spalle ed era troppo lunga. Quella nuova aderiva come una seconda pelle. Si rassegnò al fatto di non poter contemplare la sua immagine per intero, nemmeno in punta di piedi, perché lo specchio del bagno la rifletteva fino alle anche. Dopodichè erano solo piastrelle.

Era il momento della verità. Doveva provare che funzionasse davvero, ma non poteva farlo in palestra.

Fece slalom tra gli impiegati e nascondendo il volto tra i capelli quando intravide Clint scambiare due parole con un'altra agente in mezzo alla hall. Si sentiva come una fuggitiva. Si appiattì contro il muro e sgattaiolò e prese le scale del retro. Schiacciò la maniglia della di emergenza, una di quelle che non si poteva aprire dall'esterno.
Si ritrovò in un cortile, non molto spazioso, ma comunque all'aperto. Era circondato da una siepe fitta e rigogliosa e un muro di cemento da cui si apriva un bocchettone dell'aria. Dall'altra parte della barriera verdeggiante si agitava il traffico della città. Spostò un sasso per tenere la porta socchiusa in modo da non rimanere chiusa fuori e si posizionò in mezzo alla piccola piazza.
Una palla di fuoco, pensò. Non l'aveva mai fatto. Si concentrò. La sua pelle diventò incandescente. Le scintille pizzicavano e sfavillavano nelle mani, dietro le orecchie. I capelli svolazzavano nella coda. Caricò più energia. Il sole di fine estate le dava appoggio. L'aria attorno a lei era torrida, le particelle vibravano impazzite. Il sangue pompava il suo cuore più intensamente. Sentiva il battito nel petto, nei muscoli, nelle tempie.
Le fiamme esplosero nei palmi, le avvolsero le braccia. Di solito doveva concentrarsi molto per confinarle alle braccia, più che altro per evitare di bruciarsi i vestiti, ma ora non c'era più quel problema. La lasciò andare, diede loro il permesso di arrampicarsi come serpenti attorno al suo corpo. Raggiunsero il torso, la schiena, le gambe. Le sentiva scoppiettare nelle orecchie.

L'elastico si ruppe con uno schiocco e i capelli cominciarono a fluttuare. Spense le fiamme per assicurarsene, respirandole attraverso i pori della pelle per assicurarsi che la tuta fosse intatta. Era perfetta. La luce del sole scintillava sul tessuto. Era rimasta esattamente come l'aveva indossata. Non una bruciatura, non uno strappo, non si era sciolta.
Riprovò di nuovo, accese le fiamme e dalla contentezza iniziò a saltare e a fare capriole immaginandosi di essere in una missione.

In quel momento la porta del retro si spalancò. Un inserviente spinse la porta con la schiena, tirando un grosso cassonetto con gli auricolari nelle orecchie. Astrid, che non si aspettava che qualcuno la scoprisse, cercò di spegnere le fiamme come aveva fatto un minuto prima, ma non ci riuscì. L'ansia che Natasha, o peggio il Capitano scoprissero la sua trasgressione le creò un blocco. Agitò le braccia, si soffiò addosso, ma le lingue di fuoco invece di acquetarsi si gonfiarono maggiormente.

Quando l'inserviente si accese di lei si spaventò urlando, schiacciandosi contro il cassonetto spingendolo indietro, urtando la porta e chiudendola. Con le mani tremanti afferrò il walkie talkie appeso al grembiule e ci parlò.

-Signore...?

Astrid si avvicinò a lui con l'incendio addosso.

-No, no, no, non chiami nessuno, sono io!

L'inserviente si fiondò sulla porta che ormai si era chiusa, tirò la maniglia, ma la porta non si apriva.

-Aiuto! - urlava battendo i palmi disperatamente. - Aprite, aiuto! Aiutooo!

Astrid era mortificata e più quello si smaniava terrorizzato e più lei non sapeva cosa fare per farlo calmare.

-Sono Astrid Sullivan, vivo qui! Sono un'Avenger. Non voglio farle del male!

-Stammi lontana!

Qualcuno aveva ascoltato le sue urla perché la porta si spalancò e il ragazzo scappò a gambe levate sulle scale accalcate di agenti e curiosi.

-Cosa stai facendo?! - sbottò Natasha sbucando imbronciata.

-Non so come spegnerle!

La Vedova afferrò la canna dell'acqua nascosta tra le fronde e la attivò a tutto regime. Il getto d'acqua investì Astrid direttamente in faccia per poi bagnarla da capo a piedi ed esaurendo l'incendio. Sputò l'acqua che aveva inalato e tossì un paio di volte piegandosi sulle ginocchia. Il tubo finì malamente a terra con un lancio. Quando alzò il capo Natasha la fissava con le braccia conserte. Mai l'aveva vista così seria con lei. Le ricordò il Capitano.

-Esigo una spiegazione.

Astrid che di scuse valide non ne aveva, rimase in silenzio. Si passò una mano tra i capelli e li strizzò. L'acqua le arrivò tutta sui piedi.

-Sto aspettando.

-Stark.

Natasha fece qualche passo riducendo la distanza, le sollevò un braccio per analizzare l'indumento che aveva indosso.

-Te l'ha data lui?

-È ingnifuga. Così posso usare meglio i miei poteri.

-Dovresti imparare a gestirli prima.

Astrid abbassò il capo.

-Ti sto aspettando da mezzora, lo sai?

-Giuro che ero in orario. Mi sono svegliata presto. Stavo facendo colazione ed è apparso Stark. Mi ha portata al suo laboratorio e mi ha fatto vedere la tuta. Non volevo accettarla, ma lui mi ha convinta e mi ha detto di andarla a provare. Doveva essere una questione di cinque minuti. Poi è arrivato quello, si è spaventato, ha chiuso la porta, mi sono agitata e... Ecco qua.

Natasha fece un'espressione contrita per manifestare il suo disaccordo. Si accigliò e piegò la testa da un lato.

-Hai mancato ad un impegno.

-Mi dispiace, non volevo, ci tengo all'allenamento. Soprattutto se ci sei tu...

Astrid la guardò dal basso facendole gli occhioni. Natasha, che non ne voleva sapere di legghinaggio, tagliò breve.

-Dai, muoviti. Ti trovo un asciugamano.

-Non serve.

Astrid volteggiò su sé stessa creando un vortice di aria bollente. Quando si fermò, in una posa teatrale, aveva i capelli e la tuta completamente asciutti.
Natasha scosse un poco la testa, non riuscì a trattenere un angolo della bocca che si era sollevato in un sorriso affettato. La spinse con una mano dietro la schiena e se la trascinò in palestra.

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