15 . Non disubbidirmi

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Uno dei piani superiori del palazzo si prestava a un piccolo garage, una pista di decollo-atterraggio per i veicoli volanti e un ampio sgabuzzino per rifornimento ed equipaggiamento.

Natasha fece scioccare le munizioni inserendoli nella pistola con un colpo secco del polso e la fiondò nel fodero. Allacciò i bracciali, la cintura, i pugnali nelle varie tasche nascoste della tuta. Il Capitano aprì un armadietto e ne tirò fuori una busta sigillata. Aveva già lo scudo sulle spalle. La vernice era perfettamente stesa su di esso. Non un graffio, non uno smussamento, non una scheggiatura erano presenti sulla circolarità di quello strato di lega argentata.


-Metti questa.

Astrid afferrò il sacchetto, arrestando il moto parabolico che descrisse nell'aria. Dentro ci trovò una tuta come quella che indossava la Romanoff, ma più semplice e più anonima. La spiegò e non riuscì ad immaginare come il suo corpo potesse rientrare in un tessuto così aderente. Tirò i lati del tessuto e constatò che era spesso ed elastico. Guardò Natasha mentre caricava le ultime armi con maestria e si chiese perché non le avesse ancora fatto vedere come si sparasse, come si impugnasse un'arma, come si disarmasse il nemico. Il glabro marchingegno di difesa che possedeva invece lei era una semplice tuta di dubbia indossabilità. Si sentì estremamente vulnerabile.

-Posso avere un'arma?

Il Capitano Rogers cercò di scorgere nel suo viso una sfumatura di umorismo. Quando capì che era seria rispose un “no” categorico.

Astrid, che non aveva potuto evitare di percepire un sentimento di dissenso quando le avevano tolto il braccialetto elettronico, quasi come se le avessero dato la grazia, strinse i pugni dalla frustrazione. Appena il Capitano le aveva concesso di partecipato alla missione, era stata contenta di potersi mettere alla prova e mostrare il suo valore in battaglia, ma ora le stava di nuovo tarpando le ali e questo non lo capiva e di conseguenza la faceva innervosire.

-Se ho bisogno di difendermi come faccio?

-Non hai bisogno di un'arma per difenderti. - disse lui mentre sistemava i lacci del casco al mento.

-E se vengo aggredita?

-Non verrai aggredita.

-Come fai a saperlo?

-Perchè non combatterai. Rimarrai nel Quinjet assieme al dottor Banner.

-Perché mi sono allenata se poi non mi fate scendere in campo?

-Perché non sei pronta.

-Certo... Non posso usare i miei poteri neanche durante gli allenamenti!

Il Capitano le rifilò uno sguardo insofferente.

-È un ordine. Gli ordini non si discutono. Starai nel Quinjet.

-Allora perché devo mettere la tuta?

-Fallo e basta. - ordinò lui e uscì dalla stanza.

Astrid guardò Natasha per cercare sostegno, ma quella non parlò. Le diede una pacca di incoraggiamento e la lasciò sola per cambiarsi. La novella si chiuse nello spogliatoio borbottando, mentre gli altri Avengers si preparavano allo scontro. Inserì una gamba, poi l'altra, le braccia, tirò su e si aspettò che venisse soffocata dallo spandex che invece si adattò alle sue forme senza troppi sforzi. Tirò la lampo scoprendo che si chiudeva senza lasciare grinze, se la sistemò sulle natiche e raddrizzò lo strato più rigido sulle spalle. Anche sul petto, sulla schiena, sui gomiti, sulle ginocchia, sugli avambracci e sulle cosce erano presenti le protezioni che avrebbero potuto attutire una caduta o una coltellata, ma di certo si sarebbero sciolte alla prima fiammata.

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