39 . Il peso delle parole

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Stare sui sedili in pelle dell'Audi R8 di Tony Stark era come sedersi su una poltrona o su una mano gigante fatta di cuscini: la schiena e la testa erano perfettamente accolti e sostenuti. Avrebbe potuto dormirci per una notte intera e non avrebbe sentito la differenza con una culla. Non aveva dovuto nemmeno aggiustare la seduta, ma questo la portò a pensare che qualcuno della sua altezza aveva precedentemente preso posto vicino al guidatore. Magari un'altra donna.

Le luci azzurre e le cromature del cruscotto erano diamanti incasonati nella vettura. L'odore di pelle e di macchina nuova era persistente quanto il profumo mascolino che si mischiava con esso. Nonostante la piacevolezza che le procurava stare su un gioiellino di auto, non permise nemmeno un secondo al proprio lato ludico di emergere.

Si perse sulla mano che accompagnò il cambio in avanti con un gesto pratico e sapiente, il polso alzato, la manica della camicia che sbucava dal giubbino. Persino per cambiare la marcia in quel modo così virile sembrava dover costare un dottorato. Seguì le dita impugnare il volante e immaginò cosa significasse sentirle aggrapparsi alla sua coscia. Fece un respiro profondo per trovare la forza. Non doveva rischiare di lasciare una sola bruciatura su quella macchina perfetta sia alla vista, che all'olfatto, che all'udito. Il ruggito del motore scalpitava come il suo cuore.

Le macchine e gli edifici si assottigliavano al loro passaggio. A quella velocità ogni immagine dal finestrino si schiacciava, tranne il silenzio che entrambi accettavano di sostenere pur di non cadere in discorsi diversi da quello che avevano lasciato a metà, rischiando di dargli il giusto valore. Fingere non era una tattica vincente. Ormai si erano scoperti a vicenda e non potevano nascondersi. Era il peso delle parole, a rendere tutto il resto estremamente superficiale. Armi più vili ed efficaci di una qualsiasi tossina, scorrevano in quel vuoto stridente tagliando l'aria con arroganza.

-Dove stiamo andando?

La tensione non si era placata nonostante il distacco. Astrid non osava guardarlo in faccia e a mala pena tratteneva il borbottio mentale di insulti e spinose provocazioni che si rincorrevano centrifugamente come uno sciame di mosche disorientate. Si mordeva la lingua per non farle ronzare più forte.

-Che ci facevi lì? - rimontò, rifiutando di essere ignorata. Un dito nervoso a battere sulla maniglia. - Come hai fatto a trovarmi? Mi hai pedinata?

-Non riesci proprio a stare zitta un momento, eh?

-Rispondi.

-Ti ho seguita con la localizzazione del telefono.

-JARVIS, traditore... - sussurrò Astrid con amarezza.

-No, no, ringrazialo. Senza di me a quest'ora staresti lavando le stoviglie a quello per ripagargli i danni. Ma come si fa ad andare in giro senza soldi?! - batté la mano sul cambio.

Tony non sapeva niente. Non sapeva di Loki. Astrid si sentì come sollevata, ma allo stesso tempo completamente indifesa. Che fosse stato nella sua mente per tutto il tempo?

Il volto imbronciato, una mano al volante, il gomito sinistro impuntato alla portiera, il dorso delle dita sulle labbra. Lo sguardo serissimo, concentrato sulla strada. Stark era contrariato, ma non lo esternava. Si accorse degli occhi schivi che lo studiavano e si impuntò.

-Mi devi delle scuse, signorina.

-Per cosa? Per averti detto ciò che pensavo?

-Pensi davvero a tutto quello che hai detto?

Astrid fece spallucce.

-Sì. Un poʼ.

-O lo pensi, o non lo pensi.

Per l'appunto. Astrid aveva dimenticato che il cervello di Tony Stark lavorasse in codice binario, come un computer. O 0 o 1. O tutto o niente.

-Lo pensavo. E comunque ero arrabbiata.

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