36 . Di nuovo soli

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Era più di un mese che dormiva discretamente. Si buttava nel letto e si alzava la mattina seguente senza interruzioni. Forse tutto quel movimento le pesava anche sul cervello che non aveva più forze per rimuginare.

Il soffitto quella notte sembrava meno buio del solito e l'aria era troppo agitata per farla riposare. Controllò l'orario. Era quasi l'una. Infilò il paio di leggins che giaceva ai piedi del letto. Premette quel bottone dell'ascensore che sperò le avrebbe portato della compagnia.

Non era più salita all'attico di notte perchè la stanchezza degli allenamenti glielo impediva, ma ogni tanto ci tornava col pensiero. Stark e lei si allontavano e si riavvicinavano continuamente e sempre allo stesso modo. Senza convenevoli, senza fronzoli, senza scambi impegnativi, senza promesse.

Era, tutto sommato, un legame che le colorava le giornate. Stare vicino a lui significava assicurarsi a pari livello raffiche di sarcasmo e brillanti, quanto concise, nozioni di fisica o di ingegneria meccanica o di informatica. Faceva entrambe le cose con la sfacciataggine tipica di chi vive al di sopra della media intellettiva mondiale e ciò la attraeva e la destabilizzava.


A volte provava l'impulso di menarlo. Stark aveva la capacità di ribaltarla con un'osservazione e lei non sapeva se rimanere colpita dalla capacità di analisi o chiedergli quando si fosse accorto di quel dettaglio.

Passò con la mano sul liscio ripiano in marmo dell'angolo bar e raggiunse il vetro che la separava dal panorama notturno. Il cielo non mostrava i suoi diamanti, poichè le luci della città si sovrapponevano e creavano una coltre compatta.

In periferia le stelle si vedevano meglio. A casa sua si poteva ammirare quasi sempre una spruzzata di lentiggini bianche, soprattutto in estate. I lampioni perfettamente funzionanti erano pochi e non riuscivano ad illuminare tutto il quartiere. Tra le strade si sentiva solo l'abbaiare del cane della vicina e di rado, il motore delle automobili o delle motociclette che evitavano le strade principali. Escluso questo, non c'era bisogno di costose tecnologie fonoisolanti perchè tutto piombasse nel silenzio come nell'attico dell'Avengers Tower.

Si ricordò di quante volte avesse desiderato andare a vivere in un paesino di mare. Uno di quelli che fioriva grazie al porto, uno di quelli che l'avrebbe accolta con la brezza iodica e l'odore di pesce fresco, uno di quelli in cui si passeggiava per strada e ci si salutava, ci si dava il buon giorno o la buona sera anche tra sconosciuti. Avrebbe voluto vivere in un posto così anche da sola, lontana da tutto quello che le ricordava sé stessa. E adesso che ammirava quel paesaggio di metallo, appariscenza e ampia solitudine, avrebbe preferito di gran lunga tornarsene al suo claustrofobico appartamento rovinoso, incastrato nei sobborghi di una metropoli a seicento chilometri da New York.

L'ascensore si spalancò. Astrid trasalì sorpresa nei suoi pensieri. Trovò Tony fermo tra le porte. Non si aspettava di vederla lì. Non disse niente per un lungo minuto, finchè non sentì il bisogno di comunicare.

-Beviamo qualcosa? - chiese lui, mentre sfilava una bottiglia scelta accuratamente dalla seconda fila. - Ti faccio un thè caldo o una camomilla. O preferisci una spremuta? È un po' che non ci facciamo una bevuta insieme. Non so se hai cambiato gusti nel frattempo, considerando le tue nuove frequentazioni...

Era tanto che non beveva dell'alcol effettivamente. Il Capitano le aveva messo la pulce nell'orecchio della linea positiva. In fondo non aveva bisogno di rifugiarsi in quel vizio se nemmeno le faceva effetto e doveva spendere troppo per sentirlo. Anche lui le aveva confidato di aver avuto lo stesso inciampo, ma proprio non riusciva ad immaginarsi il Capitano Rogers con una bottiglia in mano.

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