47 . Sul filo del rasoio

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Montréal, Canada
Molti mesi prima...

Il cuore nel petto era un tamburo. Le gambe bruciavano. La testa vagava per i pensieri più orribili. Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che pensare: "Fa che non sia così, fa che non sia così, ti prego, per piacere".

La puzza di fumo e delle ceneri nelle narici, il lamento delle sirene dell'ambulanza, il timbro freddo aldilà del telefono di chi l'aveva informata continuavano a materializzarsi sottoforma di immagini deliranti.

La sua concentrazione disegnava un tunnel preciso attraverso il marasma di persone che scanzava e scavalcava per i marciapiedi. Tra le valigette strette nei palmi, i cappotti seri e improfumati di colonia, le cravatte impiccate al collo, le chiome ben pettinate ed il furore di dover proseguire strade più importanti della sua. Si era già fatta chiamare in vari modi da quelle bocche nervose. Si era scontrata contro numerose spalle e aveva fatto squillare un paio di clacson rischiando di farsi investire. Il suo fiato era diventato una nuvola densa che la rincorreva.

La facciata dell'ospedale sbucò da dietro l'angolo come un traguardo. Non smise di correre finchè non era dentro, nemmeno dopo aver rovesciato una cassetta di verdure facendola rimbalzare sulla strada e sparpagliando zucchine, carote, pomodori che rotolarono per qualche metro sul cemento.

Teneva ancora il telefono stretto tra le dita, le nocche bianche e la pelle fumante, quando si appoggiò al bancone della reception sbuffando come un drago. La donna dall'altra parte le aveva fatto un paio di occhioni, dall'alto dei suoi occhiali a punta.

-Samantha Bonneau. È arrivata qui poche ore fa. C'è stato un incidente... Credo sia stato un incidente... Mi hanno detto che è stata portata con l'ambulanza.

La donna si sistemò gli occhiali schiacciandoli al naso e cominciò a smanettare.

-Bonneau?

-Bonneau, esatto.

-Effettivamente... c'è una Samantha Bonneau: è stata spostata in terapia intensiva mezz'ora fa.

-Come in terapia intensiva? L'hanno operata? Cos'è successo?

-Lei è una parente?

-No, sono un'amica.

-Sono spiacente, ma sono le uniche informazioni che posso darle. Le consiglio di accomodarsi. Un dottore la riceverà appena possibile.

Astrid si allungò sul piano del banco. La donna trasalì mentre quella si protraeva verso il computer. La donna cercò di lottare contro il suo intento urlando.

Nella hall si erano tutti fermati a guardare una pazza che inveiva contro un'infermiera e un medico.
Astrid doveva sapere come stava Samantha, doveva vederla e avrebbe fatto qualunque cosa. Qualunque. Anche buttare giù, ad una ad una, ogni porta di ogni camera dell'ospedale. Era furiosa.  Udì il medico rassicurare i curiosi, intimandoli a tornare su quello che stavano facendo. Sentiva tossi e lamenti provenire dai corridoi, il tintinnio delle barre di metallo, lo striciare delle rotelle dei lettini, lo stridio delle suole frettolose sul linoleum, penne che scattavano, voci che ordinavano con energia. Una brandina le passò a fianco, spinta da un paio di divise azzurre. Dovette fare un balzo per non essere presa in pieno. Alzò lo sguardo e trovò i cartelli che segnavano la direzione per i vari reparti e le si accese una lampadina. Incalzò il passo nella direzione del centro ustionati, ma il medico la fermò prima che si allontanasse troppo.

-Dove pensa di andare?

Astrid lo scanzò e si fece inseguire.

-Signorina! Signorina, un attimo! Posso aiutarla io!

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