5 . Reputazione

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Natasha era entrata nella stanza interrompendo quella che doveva essere una discussione animata perché Tony stava gesticolando in modo esagerato pur di sovrastare il replicare cocciuto di Steve e ignorare gli avvisi insistenti di JARVIS sugli arrivati.

-Quando avete finito di beccarvi, avrei bisogno di un volto maturo che ci rappresenti.

-Non ritengo di essere il volto che possa rappresentare un tale scempio. - rispose Steve imbronciato.

-Concordo pienamente. Non è abbastanza maturo, il nostro Capitan "non la voglio qui" Rogers. Ultimamente sta dando un po' di matto.

-Almeno mi preoccupo per ciò che sta succedendo alla squadra, invece di chiudermi in un laboratorio tutto il giorno e declinare qualsiasi tipo di contatto con il mondo esterno!

-Non amo che mi si interrompa durante il mio processo creativo.

-Però appena si tratta di donne drizzi le orecchie. È più forte di te, non è vero?

-Senti un po', razza di...

Natasha si piantò in mezzo a loro.

-No, sentitemi voi! Non ho idea di quali questioni irrisolte stiate cercando di rinfacciarvi, ma ora venite con me all'ingresso con i propri piedi, oppure vi ci porterò di peso!

I due rimasero a fissarsi in cagnesco.

-Non mi importa se siete d'accordo o meno con questa cosa. Mostrate un po' di dignità.

***

-Qui Coulson. Attendiamo permesso di atterraggio, passo. - pronunciò l'agente ad una sorta di microfono. - Si stanno facendo desiderare. - continuò ansioso.

Astrid aveva abbandonato lo zaino sul pavimento e ora lo fissava con l'ansia che potesse rotolare giù una volta che il portello si fosse aperto.

-Qui Romanoff. Atterraggio concesso. E' un piacere risentirti, Phil. Passo.

Astrid percepì un brivido alla voce della Vedova Nera. Ricevette una pacca sulla spalla che la esortò a slacciarsi le cinture, mentre il Quinjet perdeva quota in modo controllato.

Appena il Quinjet atterrò, apparve una donna con una chioma rossissima e accanto a lei la figura spavalda di Tony Stark. Il genio milionario spalancò le braccia in un'apparizione molto teatrale. Era come lo aveva visto sulla rivista: il pizzetto, i capelli e... Era una tutina aderente quella?

Dietro di lui, apparve il volto di Capitan America. Era alto e le sue spalle potevano contenere entrambi gli Avengers che lo precedevano. Astrid guardò Coulson a cui brillavano gli occhi. Lui e i tre supereroi si salutarono con una stretta di mano, sorrisi e pacche sulle spalle.

Quando Astrid scese dal portellone, borsone in braccio cercò di non entrare in contatto con lo sguardo di Tony Stark che la squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso che non influenzava lo sguardo. Si soffermò sul marchingegno circolare incastonato nel suo petto e provò un brivido di impressione. Il Capitano, le diede la mano inserendosi tra di loro. Fu una stretta breve e decisa. La studiava penetrandola con lo sguardo come una lama gelida.
La Vedova le porse immediatamente la mano, accogliendola con un sorriso amichevole.

-Piacere, Natasha Romanoff.

Astrid le strinse la mano e scoprì che anche la sua stretta fosse decisa, ma più morbida. Scandì bene le consonanti del suo nome, ma poi abbassò leggermente la voce come se avesse perso convinzione. Probabilmente fu una presentazione inutile. Quante cose sapevano già di lei?

Quando Coulson si fu allontanato, rimasero in quattro. Tutti un tantino imbarazzati, lo fissarono mentre si avviava all'uscita per non guardarsi intorno e schivare gli occhi della nuova arrivata in modo troppo evidente. Astrid si sentì quasi malinconica nel vedere Coulson abbandonarla. Non voleva stare lì da sola con i Vendicatori.

-Benvenuta nella dimora degli Avengers. - fece Tony mostrando quello che sembrava il suo palcoscenico. Aveva letto da qualche parte che quella una volta era solo casa sua e che era diventato solo di recente un centro di raduno per i Vendicatori. - Questo è l'attico. Qua si svolgono feste, spesso cene e pranzi tutti insieme. Ne stiamo facendo molto pochi ultimamente, stanno diventando tutti molto noiosi di questi tempi.

-Rimedieremo. - rispose Natasha facendo un occhiolino ad Astrid. - Vieni, ti facciamo fare un tour e poi ti troviamo una camera dove puoi sistemarti.

-Ottimo. Ci vediamo in giro.

Tony salì due gradini verso cui Astrid notò un allestimento di bottiglie scintillanti di ogni tipo, scambiò un'occhiata con il Capitano e poi si allontanò con fare molto strano.

-È un po' nervoso oggi.

Sull'ascensore e si sentì schiacciata dalla prepotenza dei bicipiti del Capitano. Era sicura che quella notte avrebbe fatto un incubo in cui il gonfiore di quei muscoli possenti la constringevano contro le pareti dell'ascensore fino a scoppiare e lei precipitava giù nel vuoto. Non diceva una parola. Ogni tanto la spiava mentre la collega parlava.

I tacchi di Natasha echeggiavano nel corridoio, mentre alcuni impiegati gestivano la burocrazia andando avanti e indietro dagli uffici. C'erano telefoni che suonavano e documenti che venivano sfogliati. Si chiese se una di quelle cartelle parlasse di lei.

Il Capitano le stava di fianco e sembrava un'imponente creatura mitologica. Astrid si sentiva talmente in soggezione che la sua mente le fece notare tutte le porte antincendio e le insegne verdi "Exit" che erano situate nell'edificio. Si accorse che non stava più seguendo la voce di Natasha ed era sicura di aver annuito a qualcosa che le aveva spiegato il Capitano, ma non ricordava cosa. Sentiva la pressione salire alle stelle, voleva urlare. Cercò di calmarsi pensando all'alternativa buia della prigione.

-Credo che da qui possiate proseguire da sole. - constatò d'un tratto il Capitano, portandosi una mano all'orecchio destro come per ascoltare da un auricolare. Fece un cenno alle signore e si dileguò.

-Il dovere chiama. - disse Natasha trascinandosi una scia di imbarazzo.

Il numero dei piani diminuiva sul piccolo monitor luminoso. La città si allargava sotto di loro. Le persone, le macchine, gli alberi, le strade, i negozi si erano piccoli e schiacciati, conglomerantosi in un quadro sfocato di colori in movimento.

Astrid dovette indietreggiare a un perché immaginò di precipitare. Natasha se ne accorse.

-Paura dell'altezza?

-Solo un po' di vertigini. Non sono mai stata su un grattacielo.

Le porte si aprirono a un corridoio invaso dalla luce calda del sole. Natasha sfilò dalla giacca una tessera che fece scorrere nella fessura del dispositivo sul lato della porta. Una lucina da rossa diventò verde.

-Prego, identificarsi. - fece una voce metallica.

-Pronuncia il tuo nome in modo chiaro.

Astrid fece un passo avanti, si schiarì la voce e pronunciò il suo nome scandendo per bene i suoni.

-Benvenuta, Astrid Sullivan. Il suo alloggio è pronto.

La porta si aprì con uno scatto. Le luci si accesero, illuminando l'enorme spazio della camera, occupato in parte da un letto ampio e candido, i mobili in stile minialista dai colori tenui che richiamavano l'arredamento del corridoio e del resto del palazzo.

-Sistemati come credi.

-Pensavo che sarei stata scortata ancora per molto tempo. - ammise l'altra, in bilico tra il sarcasmo e il sollievo.

-Non è una prigione. - la voce di Natasha era pacata e buona - Non fare caso a certi atteggiamenti. Non tutti, qui, hanno una buona reputazione. Hanno solo dimenticato come ci si sente.

-Quanto devo tenerlo questo? Inizia a prudere. - chiese Astrid sollevando l'orlo dei jeans e puntando il bracciale elettronico.

Natasha si morse le labbra per pensare.

-Temo si siano dimenticati di dirmelo. Ne parleremo durante il meeting. Ci troviamo nell'attico per mezzogiorno.

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