20 . Che cosa sei?

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Un solo nastro di luce fredda traspariva dalla finestra e tagliava la camera in due parti. Nel silenzio si udiva il leggero e lento fruscio dei polpastrelli sui palmi secchi.
Astrid se ne stava fiacca, seduta sul bordo del letto a meditare. Il suo MP3 a terra. L'aveva lanciato in un impeto di frustrazione scoprendo che nessuna canzone del suo repertorio infinito si adattava al suo umore. Non si era mai sentira così confusa, avvilita, frustrata, tradita dalla vita.

Si pizzicò la pelle per confermare che fosse il suo corpo e non un involucro fittizio. Non era più certa di conoscerlo, non era più certa di poterlo controllare.
Iniziò a strofinare con le unghie con sempre più insistenza. Grattò talmente forte da irritarrsi. La pelle si strappò e si rimarginò immediatamente, prima che i suoi occhi potessero ammirarne la forma. Si scorticò di nuovo, ma subito dopo la cute tornò del tono solito, senza dare dimostrazione del suo potere cangiante.

Era determinata a far riemergere quell'orripilante ombra nera, quelle linee luminescenti che avevano preso parte ai suoi incubi come uno scherzoso ornamento di tutti quelli che si portava avanti da un decennio. Contimuavano ad apparire nella sua mente a volte anche da sveglia, come flash e scintille, accompagnati da sussurri confusi in una lingua sconosciuta, antica, e una patina dorata che la svestiva di un'aspetto che non le apparteneva più.

Forse doveva scavare più a fondo. Aprì le ante dell'armadietto del bagno. Cercò qualcosa di appuntito. Impugnò la forbicina per unghie e se la conficcò nel palmo, rifiutando il dolore. Il metallo si fece spazio nella carne. Dal centro della mano, scendendo verso il polso, formò un solco impreciso tra le linee della vita. Il sangue emerse dai capillari, sgorgò lento seguendo la scia della prima goccia vermiglia che sporcò la ceramica candida del lavabo.

Una.

Due, tre, quattro.

Cinque.

Sei.

La settima fu la più titubante. Le unghie sporche che inducevano la ferita a sanguinare di più, si ergevano su dita rigide e un polso tremante. Il flusso si era arrestato in tempi da record come di consueto. Gettò l'arma minuta sul fondo del lavandino con un gesto nervoso di resa. Sciacquò la mano e il lavandino dal sangue, poi la faccia dal sudore e dalla frustrazione. Guardò la sua immagine al suo riflesso interrogandosi del perché stesse succedendo e a chi avrebbe dovuto chiedere aiuto. Si specchiò in quegli occhi scuri che riproponevano il suo volto infinite volte e per un momento le sembrò che un raggio dorato serpeggiasse tra le scaglie delle sue iridi. Forse stava impazzendo.

Poi ragionò meglio. Era stato il fuoco a farlo apparire. Quell'essere in cui si stava trasformando, nasceva dal fuoco, ma non dalla sua, perché non era mai successo.

Ribaltò il borsone per trovare un vecchio accendino che ormai conservava come portafortuna, benché non gliene avesse mai portata molta. Non era suo, a lei non era mai servito un accendino. C'era una S con gli estremi arricciati scritta a pennarello. Samantha fumava come un turco.
Mentre lo faceva rotolare tra le dita si ricordò di quando le aveva detto dei suoi poteri e di quante volte da quel momento le dovette accendere le sigarette manualmente perché Sam lasciava in giro gli accendini o glieli rubavano ai tavoli dei bar mentre stavano fuori a bere, estato o inverno che fosse, tanto Astrid non pativa non pativa né né l'altro.
O era quello che le faceva credere pur di ricevere quella piccola soddisfazione. La guardava affascinata mentre Astrid arroventava il pollice dietro una mano, nascondendo la magia da occhi indiscreti fingendo di parare la fiamma dal vento e la sigaretta iniziava a fumare.

-Pensa a quello che potresti fare.

-Ovvero? Fare l'accendino umano a pagamento? Suppongo che guadagnerei abbastanza per pagarmi l'affitto mensile.

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