Capitolo 78: Lacrime a New York

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The new Project blog, Family: aggiornamento n° 63, 28 ottobre 2023

Esco dal JFK Aerport con l'anima morta e il cuore infranto, ma ancora non so che il vero colpo di grazia deve ancora arrivare.

Ho appena messo piede in strada tentando vanamente di fermare un taxi, quando comincia a piovere mai il cielo ha rispecchiato il mio umore così bene. Cammino sotto la pioggia come la protagonista di qualche vecchio film in bianco e nero, senza un ombrello a ripararmi, ma senza un galantuomo a porgergli il suo.

Solo ora sto realizzando cosa mi sta succedendo. Solo ora so cosa comporta la decisione che ho preso. Sono una donna incinta, sola, in un altro paese. Sono una straniera in terra straniera. Senza amici e famiglia accanto, solo con tanti bei ricordi e belle foto di un passato che forse non potrà più essere imitato. Alzo svogliatamente il braccio gridando all'ennesimo taxi giallo di fermarsi, ma inutilmente. Per anni noi tutti sogniamo l'America, New York schifando il nostro paese la verità e che il calore italiano nell'aiutare il prossimo è quasi sconosciuto nella famigerata grande mela. La gente cammina velocemente, quasi corre, da destra a sinistra, non ha tempo per fermarsi al bar per fare colazione con calma, non ha quella nonchalance che c'è nella mia terra. Forse è vero che impariamo ad apprezzare casa nostra e amarla incondizionatamente solo quando siamo ospiti in dimore altrui.

Mi siedo su una panchina, almeno su quelle c'è posto, e sento una lacrima scendere silenziosa sul mio viso appena apro la schermata di blocco del telefono: noi cinque tutti insieme all'uscita di scuola fradici di spumante, dopo aver dato la maturità. Sembra passata un'eternità, ma in realtà non è nemmeno trascorso un anno. Lascio scorrere una seconda lacrima sul volto, poi una terza, una quarta finché non sto piangendo come una bimba di tre anni che ha perso il suo peluche preferito. In tutta la mia vita non ho mai pianto in pubblico, non volevo gli sguardi pietosi della gente, ma qua poco importa se tu sorridi o piangi la città va avanti. La vita prosegue e con lei il progresso nella 'città che non dorme mai'.

Continuo a scorrere le foto nella galleria, ogni immagine rappresenta un momento più o meno felice del passato: ci sono le foto di quando piangevo per i miei genitori, altre scattate da Jhon in cui guardo Pope con gli occhi a cuoricino, alcune con me e Elis fatte nel bagno della scuola durante l'ora di economia. Quelle con Jhon hanno una carrellata emotiva assurda, ci sono le foto di quando stavo male per un nostro litigio, quelle in cui affettuosamente ci picchiavamo, in altre ci siamo io e lui abbracciati. Le foto con Pope sono assurde il più delle volte le ho fatte di nascosto altrimenti iniziava a nascondersi. Le più semplici sono quelle con Diana, foto scattate con un sorriso genuino. Jack è in tutte le foto di gruppo, ma mai in foto 'singole', io e Lela siamo un caso perso non ci ricordiamo mai di fare una foto insieme, forse è perché viviamo il momento senza avere il telefono in mano. Ma tutto questo è finito. Spesso per vivere i nostri sogni dobbiamo rinunciare a qualcosa, e forse io ho dovuto rinunciare alla vicinanza del mio bene più grande.

Solo ora rivedendo un video girato a San, non ricordo da chi, rivedendo il mio sorriso in quei momenti passati, la gioia dell'aver fatto stare bene qualcuno che ho capito quanto la felicità non sia eterna.

Ho capito che anche io indossavo una maschera, una sorta di 'Pierrot di apatia', per nascondere la mia empatia radicata nel profondo del mio cuore. Perché così come loro mi hanno insegnato ad amare, mi hanno anche insegnato ad essere empatica. Ora comprendo il sentimento che provavo quando cercavo di risolvere i problemi degli altri facendomene carico, ed è grazie a ciò che ora ho capito come affrontare il mio, da sola, per la prima volta.

Perché solo questa volta sono io, Thalia, contro il mondo. Prima di oggi ho solo creduto di essere sola, ma loro vicini o lontani da me che fossero ci sono sempre stati, non importa come ma c'erano. Sono stati come dei genitori, che però mi hanno dato la possibilità di sbagliare, commettere errori da me per capire le cose, per poi accettare la mia ammenda senza mai abbandonarmi. Ma ora non siamo divisi da sette, dieci o venti kilometri, ma un mare e uno stramaledetto fuso orario. In cuore mio ero consapevole che questo giorno sarebbe arrivato ma non credevo così presto e improvviso.

Sto vivendo il mio sogno, New York City, ma senza coloro che amo.

Sola, ma con mia figlia in grembo.

In questo istante vorrei solo un abbraccio di Jhon e Elis, un commento sarcastico di Jack, un sorriso di Diana ed un bacio di Pope.

Pope, il mio amore proibito. Il più grande amore che mai potrò vivere, l'amore che speravo culminasse come nei film: con lui che mi fermava in aeroporto ma nulla va mai come deve. Chiudo la galleria, notando solo ora una notifica, un messaggio:

Pope: 

-Forse è meglio stare lontani, noi non siamo fatti per stare insieme. Tu non puoi stare al mio fianco.-

'Il cuore fa male quando lo spezzano' e il mio in questo istante è in frantumi.

Non so con quale forza visualizzo il messaggio aprendo la chat, sbatto le palpebre sperando sia tutto un sogno, ma non lo è. Clicco il simbolo della cornetta avviando una chiamata, non so con che forza lo stia facendo. Il suono assordante dello squillo si propaga nelle mie orecchie, fin quando non si stoppa lasciando spazio alla sua voce ancora assonnata, affiancata da una voce femminile. In quell'istante il mio cuore implose con la mente al suo seguito, un peso mi discende sul petto, sento il respiro pesante e la voce mancare e non so con quale forza metto un punto a questa storia interrompendo la chiamata.

Lift up - ImpossibleWhere stories live. Discover now