47 - @Ameba_Unicellulare

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Lista 47

IL DENTE DI LEONE di Ameba_Unicellulare 

IL DENTE DI LEONE di Ameba_Unicellulare 

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Esistiamo fin dalla notte dei tempi.

Ricordiamo tutto ciò che riguarda il nostro mondo, dal momento in cui spuntiamo dalla terra, fino a quando non ci appassiamo e ricadiamo al suolo, per dare infine una nuova vita ad altri nostri simili. Ogni nascita e ogni morte, ogni ciclo evoluzionistico e ogni essere vivente sono impressi nel nostro animo. Abbiamo osservato questo mondo mutare, gli uomini passare. E noi eravamo sempre lì, a vegliare su di loro.

Siamo nati durante le guerre preistoriche, quando gli eserciti si estendevano a una sparuta decina di animali, troppo bestiali per proclamarsi umani, ma abbastanza consapevoli da identificarsi come soldati. Combattevano con lance rudimentali, le pietre di selciato appuntite e legate da una corda a un palo di legno limato in modo grezzo, in fretta e furia, al freddo di caverne inospitali. Siamo affiorati dal terreno emergendo tra i cadaveri, ci siamo abbeverati con il loro sangue e abbiamo attinto energia da quella stessa vitalità che la guerra aveva spazzato via.

I nostri fiori erano presenti a Hama, in Babilonia, non più lance di legno e selciati scolpiti a fatica tra i fuochi accesi dei bivacchi improvvisati, ma spade di bronzo forgiate in botteghe di professionisti. Alcune di loro avevano viaggiato dall'Egitto e lì erano cadute, tra la polvere sollevata dalle bighe e dagli zoccoli dei cavalli. Altri, invece, erano nate proprio lì, a Hama, erano state impugnate da uomini che combattevano per la propria patria e per essa erano morti.

E, invero, pure a Cartagine siamo sbocciati. Il bronzo era sparito, al suo posto comparve il ferro tagliente e temprato; mastri fabbri avevano modellato migliaia di spade in serie e in seguito rivendute nelle loro botteghe. Davanti a noi non si estendevano i campi aperti di battaglia, ma una città rasa al suolo, il sale cosparso sui i tetti macerati dal fuoco e sui cittadini riversi e moribondi per le strade. Che non possa più crescere nulla, avevano sentenziato i nemici dei Cartaginesi. Il vento bellico era stato trasportato da centinaia di uomini in formazione di testuggine, i manipoli composti da poche decine di soldati erano ormai un lontano ricordo. Non si lottava più solo tramite la forza bruta, ma con la strategia, l'ingegno: era la guerra raffinata, alimentata da chi ormai era fin troppo abituato a intraprenderle. Le aquile di Roma avevano portato con loro il vessillo della distruzione totale. Ma noi, i denti di leone, fiorimmo comunque dal terreno arido, gialli e impavidi come la canicola Cartaginese, e ci facemmo largo a fatica in quel terreno brullo.

Poi c'è stata Roncisvalle e lo abbiamo visto, quel Carlo Magno, regale sul suo cavallo bianco. Inneggiava il nome di Dio, ma al tempo stesso si scagliava contro un altro, eretico lo definiva. La fiumana di soldati rispondeva fiera e potente sotto il suono incalzante dei suoi incitamenti, poiché chi sarebbe morto contro gli infedeli saraceni avrebbe di certo meritato un posto in Paradiso. E i denti di leone nacquero dagli scudi abbandonati nell'erba, le armature opache e macchiate di un rosso ormai stantio e rappreso.

Sfida di scrittura creativa 1.0 (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora