Settima lista:@madbrain_

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DISORDINE REALE

di madbrain_

Malcolm aprì gli occhi quando aveva ancora la testa sul cuscino e le gambe addormentate, li aprì sentendo il suono fastidioso e assillante della sua sveglia sul comodino, impostata rigorosamente alle sette e mezza della mattina. Lottando contro il suo corpo svogliato si alzò, indossò le sue pantofole e sistemò alcuni libri nella borsa che usava per andare all'Università ogni giorno. Si guardò allo specchio che aveva messo appositamente vicino l'armadio e vide, oltre al suo volto sconvolto, delle enormi chiazze violacee sotto i suoi occhi, chi lo guardava poteva pensare – ne era abbastanza sicuro – che avesse preso dei pugni, e invece la causa di quelle chiazze era l'uomo che compariva nello specchio ogni volta che Malcolm lo usava: era un uomo alto quasi fino al lampadario, sembrava fatto di ombra e vestito con la cenere ma lui sapeva che in un mondo o nell'altro era reale. Aveva la faccia sempre scura e non si poteva distinguere fra le altre figure minacciose che Malcolm vedeva dentro i riflessi. Una di queste era la sua sveglia, messa proprio di fronte lo specchio, che il ragazzo fissava sempre per evitare che gli venissero gli incubi e ignorare i suoi demoni. In questo caso la sveglia non segnava le sette e mezza ma le quattro del mattino. Malcolm si girò e vide solo l'uomo in piedi davanti al suo letto ma ci era abituato e non si spaventò, camminò fino all'interruttore della luce attento a non cedere ai tremolii delle gambe e dopo essere tornano nel buio più assoluto si mise sotto le coperte e dormì fino alle sette e mezza.

Quella mattina, alla fine, andò a lezione in auditorium. Era sua abitudine registrare ogni spiegazione così da poter sbobinare gli argomenti a casa, e non perdersi nemmeno una parola di quello che aveva da dire l'insegnante e sebbene lui ascoltasse sempre, quella volta poggiò qualche libro sul banco e chiuse gli occhi per riposare un po' di più. Da qualche mese stava solo chiuso dentro casa a studiare e preparare esame dopo esame e comunque non darne nemmeno uno, era disorganizzato e non aveva un metodo di studio, pensava, ecco perché. Ma seguitava a programmare le sue giornate di lavoro, le sue giornate pre-esame e non si dava nemmeno un'ora libera. Nonostante questo, per lui era tutto fin troppo disordinato. E proprio mentre si stava convincendo che quella sarebbe stata una giornata più stressante delle altre, vide la sua macchina in fiamme appena uscito dalla struttura e mentre stava cercando nella sua mente un rimedio veloce, con i tremolii alle mani come quando era nervoso, si accorse che tutti, intorno a lui, sembravano non farci caso e passavano vicino alla macchina come se fosse tutto nella norma. Prima di ridursi a un mare di lacrime, fece uno squillo a suo fratello, James, perché lo venisse a prendere e lo ospitasse a casa sua per qualche giorno, vista la condizione. James non rispose. Malcom era a un passo dal crollo, era debole come del cristallo e temeva di rompersi da un momento all'altro.

«Malcolm! Che ci fai qui?» si sentì gridare il ragazzo, una mano gli afferrò la spalla. Era Chris, la sua compagna di corso e una dei suoi più cari amici.

«Allora? Sali in macchina, perché stai impalato?» Malcolm non aveva la forza di rispondere e riuscì solo a biascicare delle parole sconnesse. La sua amica sgranò gli occhi e si decise, con i suoi soliti modi, a portarlo a casa.

Malcolm era definitivamente crollato. Si era reso conto di ciò che era appena successo troppo tardi ma comunque, come avrebbe fatto ad accorgersene prima?

Si sentiva stupido, umiliato e mortificato. Perché ogni volta aveva bisogno dell'aiuto di qualcuno, perché non poteva sbrigarsela da solo?

La ragazza insisté per sapere ciò che era successo. Ancora le allucinazioni, chiedeva. Ancora le visioni, ancora i dissociamenti, ma lui non sapeva rispondere, non sapeva niente di ciò che era e non poteva dare delle risposte. Allora Chris si stizzì e per calmarlo gli fece una tazza di tè.

«Ho visto la mia macchina andare a fuoco.» spiegò con parole concise e senza dare ulteriori dettagli. Chris si allarmò ancora di più.

«Non puoi stare ancora qui.» ordinò con voce autoritaria, ma Malcom era confuso.

«Qui, da te?» chiese di rimando. «No, non qui da me Mal. Qui da qui. Qui da casa tua, qui dall'Università. Devi tornare in psichiatria.» a Malcolm quella frase tornò dritta in faccia come un elastico e gli colpì ogni parte del corpo.

«E allora perché l'ultima volta mi hanno fatto andare?» disse, sperando che Chris avesse la soluzione a quella domanda. Lui non voleva tornare in psichiatria, lui voleva tornare da suo fratello, voleva tornare dalla sua famiglia e basta.

«Non lo vedi come stai peggiorando?» lo incalzò Chris. Prima di ribattere Malcolm rifletté. Davanti i capelli lunghi e biondi della ragazza, davanti i suoi occhi marroni, davanti la sua cucina tappezzata di quadri e piena di frutta pensò per un attimo e giurò di essere più sincero possibile. Solo allora decise.

«No.»

Si intestardì perché Chris lo riportasse a casa sua e a malincuore la ragazza, che aveva offerto di ospitarlo, mise in moto l'auto e lo lasciò davanti il suo portone. Si rifiutò però di portargli anche la macchina, aveva paura di lasciarlo guidare da solo e in queste condizioni.

Malcolm salì in fretta le scale di casa sua e si diresse senza esitare verso la sua camera, ignorando tutte le brutte presenze che ormai la popolavano. Sbatté la porta contro il muro come se la volesse rompere, come se si volesse spezzare da solo. Squadrò la stanza con qualche occhiata fugace: il letto era disfatto, sulla scrivania di legno erano rovesciati libri e quaderni di ogni tipo, il computer era in un angolo del suo comodino, vicino a una tazza di caffè, penne erano rovesciate in qualsiasi punto della stanza, vestiti sparsi a terra coprivano quasi tutta la superficie del pavimento e poi quell'odiosa finestra aperta. Era tutto messo al posto sbagliato. Camminò a passi decisi e lenti fino alle ante dell'armadio, schioccandosi le dita una ad una, poi lo aprì. In quel momento Malcolm era rabbia, era rabbia e frustrazione. Non distingueva più la realtà dalla sua testa, non sapeva mai dove finivano le malattie e iniziava la materia vera, reale. Perché ogni cosa dentro di lui era viva. Era come un sogno? No, non era mai stato come un sogno, rispondeva a tutte le persone che lo chiedevano così. E se toccava qualcosa che non c'era? Non importava nulla, lui sentiva sempre tutto. E se si bagnava con dell'acqua finta? Ma quale acqua finta, pensava Malcolm. Tutto, lì intorno, era realtà. E se le allucinazioni scomparivano? Quella domanda più di tutte lo metteva in confusione. Dopo le allucinazioni vedeva solo disordine, dentro di lui e fuori. Si sentiva più al sicuro dentro una crisi, piuttosto che a crisi finita. Tutte le volte che aveva visto suo fratello erano in spiaggia, al tramonto. Tutto intorno era coperto da luce arancione e dal sole caldo che stava per abbandonarli, il mare era calmo ma non si erano mai fatti un bagno, stavano sulla sabbia ad aspettare che il sole se ne andasse e una volta sera, Malcolm tornava in sé. Aveva visto veramente suo fratello? Impossibile. Non ricordava più se in un passato lontano fosse morto o se fosse stata tutta una sua invenzione ma non rispondeva mai al telefono e non lo andava a trovare da anni e non ce la faceva più, metteva in ordine la stanza e buttava di nuovo tutto all'aria, puliva e poi versava il caffè sul pavimento, sistemava i vestiti e li rovesciava di nuovo. Organizzava tutto e disordinava perché la sua schizofrenia nella sua vita era disordine, disordine puro. Ed era sicuro che fosse reale in ogni caso.

Malcolmè detenuto in psichiatria da qualche giorno, di nuovo. Era passato qualche annodall'ultima volta, ma sapeva che ci sarebbe finito ancora spinto da qualcuno otrascinato a forza. Si chiedeva perché, nella sua vita, non aveva fatto chepensare a lungo su ciò che vedeva, se fosse vero o falso, se esistesse o no. Sichiedeva che cosa gliene era importato, perché aveva sofferto così tanto. Isuoi occhi erano allucinogeni e nella sua testa avevano ritrovato un'abitazioneperfetta, ma di cosa si poteva preoccupare ora? In fondo che succedesse dentrola sua testa o fuori, succedeva e basta e non lo rendeva meno reale il fattoche si fosse immaginato tutto. Ma dentro di lui solo una cosa non accettava, edera la reale natura degli incontri con suo fratello ed era per questo che nonvoleva guarire. Lui non era morto, era vivo nella sua immaginazione e nella suamalattia e nonostante il desiderio di incontrarlo era soddisfatto solo grazie aigiochi terribili e sadici della schizofrenia, Malcolm sapeva che senza di luisarebbe diventato pazzo, ancora più pazzo di così. Le lunghe passeggiate sullungomare, i tramonti e le albe, le stelle e i pianeti e l'acqua calma e freddaerano frutto di convalescenze in ospedale, ma Malcolm aveva bisogno di cure ele cure poteva trovarle solo dentro di lui, solo dentro i suoi desideri piùprofondi.

Sfida di scrittura creativa 1.0 (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora