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RITORNARE UOMINI di Buongiorno10

L'uomo aveva svolto tutti i suoi compiti, l'orario di lavoro era terminato

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L'uomo aveva svolto tutti i suoi compiti, l'orario di lavoro era terminato. Mancavano esattamente cinque ore perché sua moglie tornasse dal suo ufficio e lui non aveva nulla da fare. Niente impegni, cinque ore vuote. Per quanto a noi, che leggiamo questa storia, possa sembrare strano, lui non aveva mai avuto neanche un momento libero. Lavorava, mangiava, lavorava, mangiava e poi a letto. Poi di nuovo, e di nuovo e di nuovo ancora, in un ciclo che pareva senza fine. Fino ad ora. Preso alla sprovvista, non seppe che fare. Era disorientato, stupito.
Da quanto tempo non mi stupisco di qualcosa?
Si chiese, e una sensazione di tristezza che non seppe spiegarsi crebbe dentro di lui. I suoi genitori glielo dicevano, anche se non aveva mai avuto una reale conversazione con loro, che bisognava sempre essere pronti a tutto. Lo stupore era per chi non sapeva affrontare la vita.
Da quanto tempo non vado a vedere i miei genitori?
Perchè non mi sono mai accorto che avevamo una poltrona né perché sia così comoda?
Mi ero mai accorto che detesto l'odore nauseabondo di candeggina dentro casa mia?
Fuori c'è proprio un bel cielo com'e possibile che non sia mai rimasto ad ammirarlo?

E poi un milione di altre domande come queste a cui non sapeva dare risposta. L'uomo doveva schiarirsi le idee, ed uscì di casa per camminare un po'.
La via dritta e precisa, costeggiata di palazzi grigi e tutti uguali, veniva picchiata dal sole rendendo l'immagine opaca e morbida. Sembrava quasi di guardare una cartolina vecchia, ma che raffigurava tutt'altro che una città viva e turistica.
Il turismo non esisteva più comunque, era una spesa di soldi inutile ed inefficiente. Ma in ogni caso l'uomo aveva solo una vaga idea di cosa fossero le cartoline. Camminò un po', ondeggiando da un piede all'altro come per spazzare via la noia. Non incontrò nessuno, l'orario di lavoro era già finito e tutti erano impegnati a fare altro.
Si ritrovò a costeggiare la spiaggia, e nonostante vivesse a due passi dal mare lui non lo aveva mai visto davvero. Gli sembrò talmente bello, con tutte quelle sfumature verdastre, che non vide motivo per non camminare sulla spiaggia per osservare più da vicino quello splendore.
Sembrava un bambino piccolo, preso alla sprovvista quando vede una cosa nuova, e allora incomincia a giocarci e a studiarla sempre più incuriosito. Mentre faceva ondeggiare la mano nell'acqua, scorse un guizzo poco lontano da lui. Girò la testa di scatto per trovarsi davanti una figura umana, una donna.
Indossava una specie di tuta da carcerato, il volto triste, ma ciò che lo colpì di più fu la sua consistenza traslucida che ondeggiava, come se fosse fatta di aria. Mosso da non seppe che cosa, lui cercò di raggiungerla e sfiorarla con una mano, ma lei si dissolse.
Si disse che aveva le allucinazioni, ma la ragazza di vento riapparve di nuovo davanti a lui.
«Ciao»
Proferì con voce cavernosa. «Io sono Sofia, sono morta qui molto tempo fa, tu chi sei?»
L'uomo la osservò meglio, e vide una chiazza di liquido rossastro colargli giù dalla tempia. Era un fantasma.
L'uomo non ne aveva sentito parlare spesso, ma sapeva cos'erano.
Nonostante il mondo si fosse ridotto ad un freddo sistema dove vigeva come capostipite l'efficienza, l'eco delle cose "futili" e delle emozioni aleggiava ancora come una bramosia irraggiungibile, neanche più un ricordo.
Per questo l'uomo sapeva cos'era un libro, sapeva cos'era il genere fantasy o il caffè, ma erano tutte classificate come informazioni secondarie.
Più del fatto che stesse parlando con una morta, l'uomo si stupì che la ragazza avesse un nome, un'identità. Ormai più nessuno possedeva nomi.
"Gli uomini del passato non erano affatto efficienti, avevano talmente tanto tempo libero da potersi permettere di inventare nomi! Indecente" diceva spesso suo nonno.
«Io non sono nessuno»
E lo schiacciò il peso di quella verità inconfutabile, su cui non aveva mai ragionato ma in cui aveva sempre vissuto.
In nemmeno un'ora di tempo libero tutto il suo mondo gli stava crollando addosso e non perché avesse di fronte un fantasma. Stare a far nulla porta a pensare, e visto che l'uomo aveva scoperto che pensare gli piaceva molto decretò fosse una cosa importante. Ma di nuovo, davvero in trent'anni di vita non lo aveva mai fatto?
«Sì, ormai tutti dicono di non avere più neanche un minuto per cose vitali come un nome. È da tanto che rimango qui ad osservare come vanno le cose e sembrano sempre più tristi»
Fece una lunga pausa. Parlava con un dolore tale che l'uomo si chiese cosa avesse passato una donna così giovane per essere così tormentata. Mentre lei, muta, guardava il mare, si accorse di un simbolo giallo che portava al petto. Pareva una stella, con una punta in più però.
Non aveva idea di cosa fosse. Qualcosa del passato, immaginò, ma lui viveva con solo la consapevolezza del presente e di ciò che gli accadeva in quell'esatto momento, in rettilineo. Il passato era un concetto fuggevole per lui, distante.
«Sono stata uccisa durante la Seconda Guerra Mondiale, proprio qui. In quel periodo, qui ci mettevano gli ebrei e li uccidevano. Poi il vostro mondo ha deciso di eliminare il suo passato, di dimenticare, e ha raso al suolo il ricordo di uno degli sbagli da voi compiuto per costruirci una città. Per l'efficienza, dicevano, ma era solo vergogna»
Un disgusto viscerale uscì dalla sua bocca impalpabile.
«Ebrei?»
Chiese l'uomo senza capire
«Ma certo, un Dio non sapete neanche più cos'è. La speranza, non esiste più»
Lui la ascoltava rapito, troppo sconvolto per parlare.
«Nelle vostre scuole non si studia più la storia, e nessuno sa più da dove viene perché nessuno è qualcuno ad oggi. Però solo per te che mi hai visto, ti farò vedere cosa mi è successo. Salvati da questo mondo dritto.»
Il solo pensiero di stare camminando dove una volta un numero incalcolabile di persone era morta senza motivo fece tremare le gambe all'uomo, ma accettò l'offerta di quell'inquietante ragazza. Le prese la mano, e vide.

***

8 novembre 1940, lei si nasconde. La sua famiglia è in totale silenzio, un solo rumore e potrebbero venire denunciati.

22 gennaio 1941, la rassegnazione sta svanendo, ma tutti hanno ancora troppa paura per essere felici. L'angoscia è dentro di loro.

2 ottobre 1941, è buio e la mano di sua madre le stringe la bocca. Passi, di tante persone, voci concitate in una lingua fin troppo comune dicono cose che lei non capisce.
Si fa pipì addosso, una volta i suoi compagni di classe l'avrebbero presa in giro per questo, ora forse non rideranno mai più.
Terrore liquido le scorre nelle vene, quasi non respira.
"La mia città è bella" solo questo riesce a pensare e poi entrano dentro. La prendono di peso, mentre piange disperata.
Portano fuori sua madre e sua sorella e lei è fin troppo consapevole che non le rivedrà mai più. Mai.

7 maggio 1942, un uomo le urla contro. Ha lavorato troppo lentamente, ma è malata e cagionevole, non può fare più di così.
E quando le puntano la canna del fucile in testa, non riesce neanche a guardare il cielo un'ultima volta che è morta.

***

L'uomo versò qualche lacrima. Avrebbe voluto chiedere scusa a quella ragazza, dirle che non si meritava di essere dimenticata. Non andavano persi errori così importanti, dolori così grandi.
Però quando alzò la testa si accorse che davanti a lui non c'era più nessuno.
Seppe che era finita per gli uomini, che erano arrivati alla fine di loro stessi, avevano oltrepassato il limite. L'anima degli esseri umani aveva cessato di esistere.
Imprigionati nella loro monotonia, segregati da una fretta che proviene dal nulla, nessuno era più una persona.
Ma lui, l'uomo, che grazie a del tempo libero avuto per qualche strana coincidenza, era tornato libero, si mise a camminare.



  

Sfida di scrittura creativa 1.0 (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora