70. Epilogo.

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Harry

La stanza aveva ancora il suo odore. I suoi capelli erano ancora impigliati nella sua spazzola preferita. Qualsiasi cosa sferruzzasse giaceva accanto al suo letto, in caso diventasse inquieta durante la notte. Gli ingreditenti che usava per cucinare erano sparpagliati sugli scaffali.

Erano passati  tre giorni, e la camera era ancora così incredibilmente sua. Ma dovevo portare tutto via. Inscatolare i suoi averi e metterli da parte per il prossimo proprietario della stanza, senza che percepisse il suo fantasma in ogni angolo, senza che sentisse il suo stanco ronfare, ogni volta che si permettevano di chiudere gli occhi. Dovetti sfregare via ogni piccola traccia della sua semplice esistenza, seppure mi spezzasse il cuore. Anche se mi spezzava a metà.

Non mi ero analizzato dentro dal momento che avrei trovato il suo corpo senza vita nel suo letto; pallido, rigido, tranquillo. Non mi ero permesso di cercare quale sarebbe stato l'impatto che avrebbe avuto su di me. Avevo troppa paura. Ma ero certo che ci fosse un buco dentro di me. Potevo sentirlo. Riuscivo a percepire la brezza fredda notturna soffiare in esso. Riuscivo a percepire mani, braccia, abbracci attraversarmi, ogni volta che qualcuno cercava di consolarmi in qualche modo. Riuscivo a sentirlo, che risucchiava tutto, portandosi via a morsi pezzi di me.

Iniziai a pensare ai buchi neri in cielo, che assorbivano l'interno universo. Pensai ai vortici nell'oceano, che mandavano giù navi e affogava imperi, ponendo fine a vite. E mi chiesi come pensavo mai di riuscire a sopravvivere a quella spirale dentro di me. Come pensavo di far sì che ciò che mi circondava non sarebbe stato risucchiato, salvarsi dal mio disastro.

Avevo affrontato più fini che inizi. Più perdite che vittorie. Più addii che saluti. Avevo perso così fottutamente tanto, che sentivo la mia vita era arrivata a uno stop, fermo davanti le sentenze delle altre persone e ponendo semplicemente fine brutalmente ad esse. Mi sentivo come in un girone; che mi stringevo a qualcosa che avrei portato alla tomba, e niente riusciva ad esistere al di fuori di quel girone. Provavo tante cose, e faceva male. Faceva sempre male.

Qualcuno bussò alla porta, tirandomi fuori dai miei pensieri e gettandomi nel mondo che si stava ancora adeguando alla sua perdita. Così come me.

"Non ho ancora finito. Mi ci vorrà un po'." forzai le parole a uscire dalle mie labbra. Era come se fossi stato in silenzio da tempo, mi fossi dimenticato come si parlava.

"Harry, c'è qualcuno che vuole vederti." non sapevo esattamente chi mi stesse parlando. La voce era familiare, ma non irruppe pienamente attraverso lo scudo che mi ero costruito. Sembrava come se stessi sott'acqua e tutti i suoni fossero alterati.

"Non ora." volevo solamente un po' di pace e tranquillità. Volevo solamente essere lasciato da solo. Li supplicavo per questo.

"Fidati di me, vorrai vedere questa persona. Apri la porta, andiamo, per favore." sospirai, sentendomi prosciugato da quella piccola conversazione. Scuotendo la testa, caddi vicino al suo letto e aspettai che mi inghiottisse. Ero quasi certo che che sarebbe successo qualcosa. E così fu.

"Harry?" proprio in quel momento, tutto il dolore scomparve. Tutti i buchi dentro di me si riempirono, eccetto per quello che lei aveva lasciato quando mi aveva detto di andare via, quell'ultima volta. Tutti i tremori, la stanchezza si modellarono in un unico punto.

Conoscevo quella voce. L'avevo sentita per mesi e mesi, e ogni singola volta spezzava qualcosa dentro di me perchè non c'era. Riuscivo ancora a sentirla dira quell'addio che non sembrava avere mai fine. Sussurrare quel ti amo che non ero riuscito a ricambiare. A parlami sempre, a tenermi compagnia, mantenendomi sano di mente. O a farmi uscire di senno. Non riuscivo a dirlo veramente.

Rupture [h.s. - italian translation]Where stories live. Discover now