EPILOGO

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Gordon's pov

Il giorno dell'incidente di Hanna è stato il più brutto della mia vita. Insieme a quello in cui ho visto per l'ultima volta i miei genitori.

"La stiamo perdendo" aveva gridato il dottore quel giorno, e anche il mio cuore aveva smesso di battere insieme a quello della mia ragazza. Avevo visto il mio mondo sgretolarsi nei suoi occhi persi, vitrei, il mio respiro strozzarsi in gola non appena il suono di quella macchina si era fatto piatto, segno che Hanna non era più nel nostro mondo. La vista si era annebbiata, quasi non percepivo la realtà e sapevo che morendo lei, mi aveva trascinato con sé nella tomba. Almeno le sarei stato vicino per sempre.

Avevo perso i sensi, ero svenuto un paio di volte prima di scoprire che la mia ragazza era stata rianimata, presa per i capelli e strappata al mondo dei morti per quello che penso sia stato un miracolo. Qualcuno da lassù deve averla presa a cuore, come si fa a non amare quella donna.

Ovviamente non poteva filare tutto liscio, non nella mia vita, non avrò mai un lieto fine. Ha subito tre interventi, delicatissimi, e li ha superati con la forza e tenacia che la contraddistinguono. È una roccia, il mio amore. Il problema? Non si è più svegliata dal coma. L'ultima volta che ho visto i suoi occhi chiari con tutto il mio mondo dentro è stato un paio di settimane fa. Poi il buio, le lacrime, la tristezza. E la rabbia, soprattutto quella. Sono incazzato come una belva, con Dio che avrebbe potuto prendere me, con il bastardo che l'ha investita e poi è fuggito, e con me stesso. Ce l'ho a morte con me stesso, perché avrei potuto, avrei dovuto, salvarla. Avrei dovuto proteggerla, anche a costo della mia stessa vita. E invece no, sono qui, vivo e vegeto, mentre lei è in un letto d'ospedale a lottare per riuscire ad arrivare a fine giornata. Mi sento inutile. Lo sono. Il dottore dice che non è vero, che lei mi sente e percepisce la mia presenza, ma a me sembra un'enorme cazzata, un pagliativo per farmi impazzire più lentamente.

Per sicurezza, le parlo comunque. Perché anche se a lei non cambia nulla, fa star meglio me. No, non meglio. Meno uno schifo, ecco. Passo intere giornate al suo capezzale, a ricordarle le nostre avventure, le nostre risate, le scorribande. Quelle sono le più divertenti.

A volte sembra che sorrida, ma probabilmente è il mio cervello che è andato a farsi fottere. Come tutto del resto. Tranne il fatto che la amo. Quello è rimasto invariato ed è la cosa che mi tiene inchiodato alla realtà. E poi la bacio. La bacio tantissimo: sulle mani fredde, sulla fronte fasciata, sul viso pallido. Voglio farle sentire il mio calore, le mie carezze, voglio che sappia che non l'ho abbandonata, che ci sarò sempre per lei, che la sto aspettando. Non può dimenticarsi di me, di noi.

E anche oggi non fa eccezione. Spengo la sigaretta nel posacenere e mi avvio verso le porte scorrevoli all'ingresso dell'ospedale. Devo smettere di fumare, glielo avevo promesso. La segretaria all'ingresso mi fissa lasciva, con quello che lei ritiene uno sguardo provocante, a cui sono fin troppo abituato. Non alzo nemmeno gli occhi nella sua direzione, non merita la mia attenzione, esattamente come nessuna donna di sesso femminile presente sulla faccia della terra che non sia la mia Hanna.

Lei è diversa e lo è sempre stata. Quei suoi occhioni curiosi mi avevano fatto capitolare una volta, e lo avrebbero fatto da quel giorno in poi per il resto della mia vita. Non mi guardava come tutte le altre, per farsi notare sperando che le avrei portate a letto, non indossava abiti succinti o vistosi, e non ne aveva bisogno. Bastava uno sguardo o un sorriso per annullare tutto ciò che le stava attorno. Nemmeno quando faceva la spogliarellista e si esibiva su quel palco era volgare. L'ho riconosciuta in un nanosecondo la mia bimba e non solo perché ha perso metà coreografia nel vedermi.

Supero velocemente la sala d'aspetto e arrivo con passo deciso nella sua camera. Ed eccola lì, sdraiata sul letto, ad aspettarmi.
«Ciao amore» la saluto schioccandole un bacio sulla guancia. «Se la receptionist non la smette di fissarmi ogni volta che passo, le mando il video delle telecamere di sorveglianza della villa dei tuoi genitori, quando gli hai fatto visita con la mazza da baseball» aggiungo sorridendo al ricordo.

E sono sicuro che avrebbe riso a crepapelle se fosse stata qui presente con me. Ma non lo è. Una lacrima minaccia di uscire, porca puttana, non posso ricominciare a piangere. Credo di aver versato più lacrime in questi giorni che in tutti i miei ventiquattro anni di vita. Ho pianto anche ieri. Ieri é stato il giorno del bagno di Hanna, il momento che odio più di tutti: l'infermiera arriva e io l'aiuto a sollevarla e a spogliarla così che possa passarle la spugna sulla pelle chiara. Non sopporto vedere i lividi che rovinano il suo corpo, le membra rovinate e le bende che le coprono ferite e gli ematomi provocati dall'incidente.

Le giornate trascorrono lentissime da quando lei ha chiuso gli occhi, sono vuote e senza senso. L'appartamento è esattamente come lo ha lasciato lei la mattina di Natale, non ho spostato niente e lo utilizzo solo per andarci a dormire la notte. Passo tutto il tempo in ospedale, mangio in ospedale, torno a casa quando il Sole è calato da ore, mi lavo e mi butto nel letto a fissare il soffitto per tutta la notte. Il mio aspetto trasandato, la barba non curata e i capelli spettinati ne sono la conferma.

«Salve» sento una voce maschile provenire alle mie spalle e mi volto di scatto, sull'attenti. Non sono abituato alle persone, ultimamente vivo come un eremita, eccezion fatta per i ragazzi dell'Energy che mi aiutano a restare a galla e vengono a trovare Hanna.

La persona sulla porta è un uomo di mezz'età dai capelli brizzolati, non altissimo e dalla divisa intuisco si tratti di un corriere espresso.
«Ho una consegna per la Signora Hanna Clark» esclama, e solo ora noto il gigantesco mazzo di rose rosse che tiene tra le mani.
«Chi le manda?» chiedo corrugando la fronte, incuriosito.
«Non ne ho idea, non me l'ha detto. Mi ha solo raccomandato di recapitarle i fiori e questo bigliettino» aggiunge porgendomi un piccolo foglio di carta ripiegato più volte su sé stesso.

Afferro il foglio e il mazzo di rose, ringraziando e congedando il corriere. La curiosità mi sta divorando, quindi non appena l'uomo lascia la stanza, chiudo la porta e mi precipito a leggere il biglietto che accompagna quei delicati boccioli.

La calligrafia è minuta e riporta solo una manciata di parole scritte al centro del foglio. Nessuna firma, solo una sigla, alla fine.

Non penserete di aver vinto, vero?
Abbiamo appena cominciato, e il gioco lo dirigo io.

R.M.

Rimango impietrito a fissare il biglietto per quella che credo essere un'eternità. No non può essere. Non può ricominciare tutto di nuovo, da capo. Non sono pronto. E improvvisamente mi è tutto più chiaro: la macchina che spunta apparentemente dal nulla, travolge la mia ragazza e poi fugge via senza lasciare traccia, senza un attimo di esitazione. Quello non è stato un incidente, qualcuno ha tentato di ucciderla.

La rabbia, mi annebbia la vista e con un urlo animalesco afferro le rose e le scaglio con violenza sul tavolo, distruggendo i boccioli e spargendone i petali ovunque. Il macchinario che monitora le frequenze vitali della mia ragazza accelera, segno che il battito del suo cuore è più veloce. Il mio grido deve averla agitata. Corro al letto e la stringo tra le mie braccia.

«Ce la faremo, amore. Come sempre io e te ce la faremo insieme, supereremo anche questa» le sussurro lasciandole un bacio sulla fronte.


FINE PRIMO LIBRO


🌺SPAZIO AUTRICE🌺

Eccoci alla fine di questo primo volume di "Energy: ritrovare l'amore".
Cosa ne pensate? Vi aspettavate che fosse Gordon a raccontare l'epilogo?
Un pazzo tiene le vite di Hanna e Gordon sotto scacco, chi poteva immaginare che i loro problemi sarebbero continuati nonostante l'arresto di Ryan?
Fatemi sapere cosa ne pensate qui nei commenti e non perdetevi i prossimi capitoli informativi.
Nel caso abbiate domande non esitate a farmele!
Vi voglio bene, un bacione e alla prossima!
ArielaNodds 💕

ENERGY: Ritrovare l'amore (#Wattys2019)Where stories live. Discover now