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Quando arrivo in palestra il sole è già tramontato, lasciando spazio ad un cielo scuro e senza stelle; il senso di inquietudine non mi ha abbandonata, è sempre lì, rintanato dietro la nuca, con il fiato sul mio collo, ma decido di sfogare tutto con un buon allenamento.

Mi dedico al sacco da boxe con rabbia e irruenza, ultimamente lo faccio spesso ed è una delle poche cose che mi permetta di rilassarmi. In pochi minuti ho già il fiatone e sono madida di sudore, le membra ancora indolenzite dall'allenamento del giorno prima, ma anche quel semplice dolore fisico ha il potere a farmi sentire viva.

In queste due settimane il mio corpo è diventato ancora più tonico e sodo, forse troppo, adattandosi alle intense sessioni di esercizio che caratterizzano i miei giorni, ma non me ne curo: ho ben altri problemi e questa è la mia terapia. Non dovrò esibirmi a breve per l'Energy, dove le mie forme longilinee facevano impazzire gli uomini, quindi apprezzo anche questa versione di me più grezza e aggressiva.

Ripenso ai giorni noiosi della mia adolescenza, in quella casa gigantesca e priva di emozioni, in cui mi sentivo come un pesce in un acquario enorme. Costantemente sotto osservazione da chiunque, i miei genitori per primi, che dovevano mantenere quell'aria da famiglia perfetta che si erano impegnati tanto per costruire, fragile come un castello di carte, una folata di vento avrebbe potuto portarne via la facciata rivelando solo bugie e menzogne.

Mi chiedo cosa si siano inventati per giustificare la mia assenza ai loro ricchi e vuoti "amici", e avrei quasi voglia di andare da loro e raccontargli che sono diventata una spogliarellista. Di successo. Ma pur sempre una spogliarellista.

Non che mi importi qualcosa del loro giudizio: amo il mio lavoro, l'Energy e i ragazzi che come me si esibiscono lì ogni fine settimana, e non tornerei indietro per nulla al mondo, ma mi piace immaginare le loro facce sconcertate e sconvolte se sapessero la verità, se fossero a conoscenza di quanto sia oltraggioso quello che faccio per vivere.

Probabilmente nessun club li ammetterebbe più in quegli stupidi salotti. Verrebbero esclusi da amici e aberrati da chiunque faccia parte dell'ambiente. Al pensiero di loro che vengono rifiutati e mandati via a calci nel culo da un grasso signorotto per colpa mia mi fa sorridere come una psicopatica. Sono strana.

Termino il mio allenamento ai macchinari e dopo una doccia calda sono pronta per tornare a casa e preparare una cena decente, sana e non innaffiata con della birra. Sono stanca e i miei muscoli cominciano a dolere quando esco dalla palestra e mi avvio verso la macchina.

Mi guardo intorno come ormai faccio ogni volta da quando ho percepito quella sensazione alla bocca dello stomaco e non mi sento mai al sicuro se non quando sono blindata nel mio appartamento.

Ma tutto ad un tratto il mio sguardo viene catturato da un uomo a pochi metri da me e rimango impietrita ad osservarlo per qualche secondo. Si tratta solo di una figura all'angolo della strada: è alto e dal fisico prestante deduco sia piuttosto giovane; non riesco a distinguerne i lineamenti con questo buio e, non appena si accorge che lo sto fissando, solleva il cappuccio della felpa e se va con passo spedito.

Dovrei seguirlo? Forse. Ma onestamente, vista la stazza e l'altezza, non me la sento di affrontarlo, al buio, dopo un allenamento stancante e senza nemmeno un arma con me. Lo guardo allontanarsi, le spalle larghe sono coperte da una semplice felpa completamente nera e le gambe muscolose sono fasciate da una paio di pantaloni della tuta del medesimo colore. Non indossa nient'altro, niente giacche o giubbini a ripararlo dal freddo inverno newyorkese.

Nonostante la figura imponente e i muscoli ben definiti al di sotto dell'abbigliamento, la sensazione che ho avuto non è stata di paura bensì di confusione. Ho imparato col tempo ad ascoltare il mio corpo, le reazioni, le sensazioni e le vibrazioni che percepisce e devo ammettere che è un grande vantaggio, ma ciò che ho avvertito non era nulla di negativo.

Scrollo le spalle: probabilmente sto impazzendo seriamente, è tutto così assurdo e surreale. Almeno non monotono, ma preferirei tornare alla tranquillità del mio lavoro e della mia relazione con Gordon.

Ho saputo che stanno lavorando intensamente e incessantemente per riportare alla vita l'Energy il prima possibile. Io dal giorno dell'incendio non ci sono più tornata e non ci tornerò finché non riuscirò a tirare fuori il mio ragazzo da quella fottuta prigione. Ho ancora troppe faccende da sistemare prima di riuscire a sgombrare la mia mente.

So che nessuno del locale crede sia stato lui, i dubbi iniziali hanno lasciato spazio al buon senso e alla ragione, e ricevo continuamente messaggi di supporto, offerte di aiuto, inviti ad uscire che prontamente declino, ma ringrazio il cielo per avermi fatto trovare una famiglia del genere. Tutti loro sono con me, lo sento, sono dalla mia parte e mi basta questo a farmi forza.

Parcheggio l'auto davanti al mio appartamento e rimango un attimo a fissare la strada di fronte a me. I ricordi che sono tornati a bussare alla mia porta mi hanno aperto una squarcio nel petto. Gli occhi diventano lucidi e lacrime salate cominciano a rigarmi le guance, scendono copiose e incontrollate, e l'unica cosa che vorrei in questo momento sarebbero le sue braccia forti che mi circondano e mi stringono al petto facendomi sentire protetta, al sicuro.

Invece, ci sono solo io in quest'auto, perché ancora non sono riuscita a salvarlo. E questo è diventato il mio chiodo fisso, la mia missione. Perché sarò pure la sua principessa ma a volte bisogna sapersi togliere le scarpette e deporre la corona, indossare l'armatura, sguainare la spada e combattere contro i demoni che ci vogliono morti. Sarò la sua guerriera non solo la sua principessa.

Mi asciugo le lacrime e scendo dalla macchina risoluta, salendo i gradini che mi portano a casa velocemente: una volta dentro chiudo la porta a chiave con doppia mandata perché non posso più fidarmi di niente e nessuno. Attacco la mia giacca pesante all'appendiabiti all'ingresso e il mio sguardo cade su un piccolo biglietto sul pavimento, come se fosse stato fatto scivolare sotto l'uscio. Con mani tremanti mi abbasso per raccoglierlo, prendo un respiro profondo e lo apro leggendone il contenuto:

Prima lui.
Poi tu.
Tutto tornerà al proprio posto.

Lo rileggo più volte anche se ho già capito di cosa si tratta: è indubbiamente riferito all'arresto di Gordon e una sorte che evidentemente sistemerà anche me ed è da parte di colui che ha incendiato l'Energy. Potrei portarlo alla polizia ma probabilmente non mi crederebbero quindi la risolverò da sola, a modo mio.

La vecchia me sarebbe spaventata e intimorita da tutta questa merda ma la nuova me è incazzata come una iena e determinata a trovare una soluzione. Perché se quel bastardo pensa di farmi paura si sbaglia di grosso. Perché sarà lui ad avere la peggio. Perché riserverò la parte peggiore di me a lui e riverserò tutta la mia rabbia e frustrazione sulle mie ricerche. Lo troverò. E sarà la sua fine.


🌊SPAZIO AUTRICE 🌊

Eccoci giunti alla fine del trentanovesimo capitolo di Energy.
Hanna si reca in palestra e dopo un allenamento estenuante, decide di tornare a casa, ma nel parcheggioun uomo misterioso attira la sua attenzione. Una volta giunta a casa, un bigliettino anonimo la minaccia.
Chi sarà l'uomo incappucciato che ha visto?
È quella la sensazione che avvertiva?
E chi sarà il mittente del biglietto misterioso?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY: Ritrovare l'amore (#Wattys2019)Where stories live. Discover now