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Non so cosa pensare di Gordon. Mentre so esattamente cosa penso di mio padre e continuo a ripetermi il discorso che ho preparato stanotte da fargli. Sto guidando da dieci minuti e l'ho già modificato più volte, ma il concetto resta sempre lo stesso.

Il tempo non è dei migliori stamattina, sembra rispecchiare esattamente il mio umore. Ho deciso che andrò a casa dei miei genitori e gli chiederò di smettere di interferire in qualsiasi modo con la mia vita. Li odio, odio quell'uomo che ha sfruttato una debolezza di Gordon per potermi controllare ancora. Odio mia madre che non ha fatto nulla per fermarlo, complice di questa messinscena meschina e subdola. Odio mio fratello per essere lo zerbino che è, per non avere le palle di dire ai nostri genitori che la vita che loro gli propongono fa schifo e che vuole vivere come piace a lui, con una ragazza che ama e non con quella che loro hanno pensato.

Odio Gordon per avermi mentito per un anno, per essere rimasto in contatto con mio padre, nonostante il male che mi faceva, solo per del denaro. Lo odio perché ha venduto il nostro amore e non ha combattuto per me, è semplicemente sparito nel nulla, e se prima potevo sospettare che fosse perché lo avevo lasciato io, ora so di per certo che non è così. Ma soprattutto odio me stessa perché sono profondamente innamorata di lui e non riesco ad odiarlo nemmeno per una simile bugia.

Vorrei tanto avere una vita semplice, da ragazza qualunque. Litigare con la mia famiglia per gli orari di coprifuoco, avere un lavoro normale e un fidanzato che mi ama con cui andare a cena. Non dover avere paura dei ricatti dei miei genitori e delle loro minacce. Ma così sarebbe troppo semplice. Ripenso però ai ragazzi dell'Energy che non avrei conosciuto se le cose fossero state diverse, se le circostanze non fossero come sono ora. E forse sono più fortunata di quello che penso in questo momento.

Mi sfugge una lacrima, ma non posso lasciarmi andare: devo rimanere aggrappata alla rabbia e non alla tristezza o alla nostalgia, per parlare con la mia famiglia. Non meritano le mie emozioni, si sono già presi troppo da me, senza nemmeno tenere conto della mia volontà.

Quando arrivo nel vialetto della villa sono carica e incazzata come una iena. La villa che si erge davanti a me è esattamente come me la ricordavo: le colonne bianche costeggiano il lussuoso ingresso e un giardino all'inglese circonda tutta la casa. Ripenso al mio piccolo appartamento e sono contenta di non vivere più qui. Sembra così asettica e impersonale.

Il cancello era aperto, e non mi sono presa la briga di suonare il campanello. Percheggio l'auto davanti al portico senza badare ai segni che le ruote hanno lasciato nei sassolini bianchi del viale di ingresso. Sbatto la portiera e spero con tutta me stessa che qualcuno di loro mi stia osservando dalla finestra. Noto subito che sul campanello d'ingresso c'è ancora scritto il mio nome. Davvero pensavano che sarei potuta tornare qui?

Tengo il dito sul campanello per una quindicina di secondi, in un gesto pensato apposta per dare fastidio. So quanto odiano i cafoni e questo mi sembra un bel modo per presentarmi dopo un anno.
L'anziano domestico mi apre la porta e sul suo viso leggo un miscuglio di espressioni che identifico come stupore, confusione, gioia.

«Signorina Hanna, che bello vederla qui» esclama, e forse lui lo pensa davvero.
«Ciao Gary, sono qui di passaggio, dove sono i miei genitori?» chiedo cortesemente guardando alle sue spalle per vedere se spunta qualcuno. Lui è sempre stato gentile con me quindi non ho motivo di avercela anche con lui.
«Non sono qui al momento: sua madre tornerà a momenti mentre suo padre è in ospedale, al lavoro. Devo recapitare un messaggio per conto suo?» chiede educatamente come da protocollo.

«No, aspetto qui.» dico facendomi strada e subito dopo aggiungo: «Faccia chiamare mio padre e gli dica di venire qui immediatamente, dica che sua figlia incazzata deve parlargli subito altrimenti incendierà la loro umile dimora.»
Mi guarda stupito, cercando del sarcasmo nella mia voce ma non lo trova.
«Certo signorina. Vado, torno subito» dice e poco dopo scompare dalla mia vista.

Mi siedo sul divano costoso dei miei e osservo l'opulenza di questa casa: le tende di broccato che coprono le ampie vetrate e scendono fino al parquet in rovere. Il camino in pietra conferisce a questa casa quello che dovrebbe essere calore e accoglienza, i mobili pregiati arredano il lussuoso salotto. Sembra una casa da copertina, non vi è traccia della presenza di una famiglia e questo fatto mi mette tristezza. Quanto dev'essere vuota la vita di queste persone, curano l'involucro delle loro inutili esistenze.

«Suo padre sarà qui fra una decina di minuti» dice Gary entrando e distogliendomi dai miei pensieri.
«D'accordo, grazie» rispondo.
«Posso offrirle qualcosa, signorina?» chiede il domestico servizievole. Devono pagarlo bene se non se ne è ancora andato da qui.
«No grazie, sto bene così.» ribatto.
Annuisce e se ne va a testa bassa.

Devo sembrargli pazza con i miei jeans strappati, una felpa troppo grande e un cappellino da baseball con l'unghia girata dietro, un giubbino di pelle e un paio di anfibi. Non mi stupirei se mi buttassero fuori per il mio stile trasandato e poco curato, decisamente non adeguato agli standarddi questo posto. Penseranno che sono una senzatetto. Mi viene da ridere al pensiero.

«Mi sembrava fossi tu» dice mio fratello entrando nella stanza con il suo cardigan blu, da cui spunta una camicia bianca perfettamente stirata e un paio di pantaloni cachi.
«Già, Mark» rispondo freddamente.
«Dopo il parcheggio selvaggio e il trillo del campanello che non finiva più, non ho più avuto dubbi» esclama ridendo.

«Speravo di trovarli a casa. E tu, come te la passi bello?» non uso praticamente mai quest'espressione nella quotidianità ma ottengo l'effetto desiderato.
«Bene direi» risponde inorridendo. Il mio linguaggio è decisamente diverso dal suo con la scuola per ricchi che ha frequentato e le lezioni di dizione a cui io sono riuscita a sfuggire. E si affretta ad aggiungere «E tu? Ti trovo bene, sei anche dimagrita.»
«Sto benone, sono libera io» punto molto l'attenzione su quell'io, voglio che sappia cosa penso, ovvero che sia un codardo.

Non gli è mai piaciuta questa vita, non gli è mai piaciuta medicina, ma quel coniglio non ha mai avuto il coraggio di dirlo ai genitori. Me lo confidava di nascosto, quando eravamo più piccoli e ancora ci nascondevamo sotto le coperte dei nostri letti a leggere storie di paura con una pila. E ora si ritrova qui in una vita infelice che non gli appartiene. Improvvisamente mi sento più forte e l'agitazione di dover parlare con la mia famiglia si placa.

Sono io ora quella che ha più esperienza, quella che vive in un mondo vero, di emozioni, delusioni e sentimenti. Sono io quella che riesce a prendere decisioni con la propria testa, che non si fa influenzare da nulla o mettere i piedi in testa. Sono io quella che riesce a dipendere da sè stessa, che ama un ragazzo veramente e probabilmente riuscirà a perdonarlo perché ha fatto uno sbaglio umano. Sono io.

🦄SPAZIO AUTRICE 🦄

Eccoci giunti alla fine del ventitreesimo capitolo di Energy.
Hanna ha raggiunto la casa dei propri genitori i quali al momento non sono in casa. La sua rabbia non intende placarsi e spera di poterla sfogare presto. Arriva anche suo fratello, confuso dall'aspetto della sorella.
Come reagiranno i genitori quando la vedranno?
E cosa farà Hanna?
Riuscirà a mantenere la calma?
Che rapporto ha con Liam?

Non vi resta che scoprire le risposte nei prossimi capitoli! Un bacione!
ArielaNodds 💕

ENERGY: Ritrovare l'amore (#Wattys2019)Where stories live. Discover now