Era qualcosa di così incredibile che non potevo pensarci, ma c'era l'inconveniente di dover sistemare le cose con Orlando e di lavorare sodo fino ad allora. Questa volta dovevamo essere pronti, preparati. Come diceva Cresci.

Andai a vedere a che punto fosse Claudia con i bagagli. Anche lei sarebbe partita subito per Birmingham. Ero dispiaciuta per lei: il quarto posto le aveva fatto sfumare Wimbledon, ma lei non sembrava troppo scontenta. 

Aveva una stagione di tornei da 50000 dollari davanti a sé, e chissà, magari strada facendo avrebbe vinto anche qualche titolo juniores e sarebbe riuscita ad entrare tra le prime dieci del mondo. Era un buon inizio.

La valigia e i quattro borsoni erano già sul ciglio della porta quando arrivai. Stava ricontrollando che non avesse lasciato nulla di importante, l'impresa di pulizia sarebbe arrivata da un momento all'altro e l'avrebbe cacciata. Anche lei, come Cresci, era l'ultima ad andare via, l'ultima a controllare che fosse tutto in ordine.

- Preparo un caffè. Non arriveranno prima di un quarto d'ora.

Ci sedemmo in cucina. La luce entrava dalle ampie finestre, e si poteva scorgere la polvere luminosa che fluttuava nell'aria, il sole riflesso sulle piccole increspature dell'acqua della piscina. 

Faceva caldo anche nel loft, evidentemente perché l'impianto di raffrescamento era stato ormai spento. Di tanto in tanto una ventata d'aria fresca ci raggiungeva dal cortile posteriore. Claudia aveva una coda disordinata legata stile samurai e una maglietta Adidas larga. I jeans attillati. Sembrava un po' sfatta.

- Come stai? – chiesi seduta al bancone. Lei inserì il preparato caffè arabico nella macchina miscelatrice e si girò a guardarmi. Non sorrideva, ma non era neanche triste.

- Devo ancora realizzare. Non ho avuto ancora tempo di pensarci.

- Si è fatto sentire?

Alzò gli occhi al cielo: - Oh, ma certo. Cinque minuti prima di entrare in campo, in Corea. Non gli ho risposto.

Sorrisi, ero contenta. Sembrava avesse avuto la giusta reazione. O almeno lo speravo.

- E tu come stai? – chiese lei, versando il caffè nelle due lunghe tazzine bianche.

- Diciamo che mi sto comportando esattamente come te. Non ci penso. E quando sarà il momento inizierò a fare i conti con ciò che è successo. Ma devo dirti una cosa. Ti ricordi quando sono caduta durante il doppio misto?

- Certo che mi ricordo.

- Hai un foglio?

Lei mi guardò stranita ma non fece domande. Tornò con un foglio e una penna. Iniziai a disegnare, a linee spesse e scure, alcune forme arcuate. Ripetei quel disegno più volte, fino a quando non ne fui soddisfatta. Glielo feci vedere.

- Ti dice qualcosa?

- Assolutamente niente – commentò lei – Cos'è?

- Quando sono inciampata mi sono ricordata qualcos'altro di quella notte. Sono caduta, ma mi ricordo di questo pavimento. In quella stanza, qualsiasi stanza fosse, io ci sono entrata ed è successo qualcosa.

- Magari l'hai sognata davvero. Non mi avevi detto di aver già sognato altre cose prima d'ora?

- Sì, ma... – dissi, cercando di sforzarmi, di ricordare ancora.

- Bea, sei molto stanca e stressata, con una grande voglia di scoprire cosa è successo quella notte. Sei sotto shock, lo siamo tutti. Può essere che tu abbia preso dei ricordi di qualcos'altro e con la voglia che hai di ricostruire ciò che è successo stia facendo confusione. I ricordi torneranno, ma non puoi massacrarti così.

La Fenice #1 [La Fenice Series]Where stories live. Discover now