LXIX. - Il vero nemico

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Claudia voleva lasciare Marzio, ma non sarebbe stato facile

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Claudia voleva lasciare Marzio, ma non sarebbe stato facile. Se mai qualcuno avesse tirato in ballo quella storia, lei avrebbe rischiato di perdere tutti gli sponsor e soprattutto l'immagine che si era costruita da tempo. Fughe notturne, segreti e ricatti non erano ben accetti nella vita della ragazza religiosa ed elegante, dentro e fuori il campo. Anche se sosteneva che il rapporto si stesse rovinando dopo l'arrivo di Ivan, per me c'era dell'altro. Quella storia aveva fatto il suo corso, ma lei non riusciva ancora ad ammetterlo.

Forse era vero, non potevo capire fino in fondo certe cose. Non avrei potuto mai sacrificare la mia carriera e il mio modo di essere per gli altri. Nessun Riccardo mi avrebbe spinto a fare qualcosa contro la mia volontà, a subire minacce e a nascondermi nell'ombra per portare avanti una relazione senza futuro.

Sapevo che a tutto c'era un limite, ma ero anche convinta di dover pensare prima a me stessa. Tutti, in fondo, facciamo così. Siamo egoisti. E io non lo ero da meno, ma almeno lo ammettevo. Almeno a me stessa lo ammettevo.

Arrivammo a Reggio Calabria che erano le dieci passate, e dopo i saluti di rito eravamo entrati in campo. Coach Fuknosis, un greco dal fisico statuario e maestro storico di Claudia e Riccardo, ci aveva riservato un campo per le undici, preso in breve tempo d'assedio da una folla gremita di gente. 

Era tutto molto diverso dal Grand Prix, che essendo un trampolino di lancio per giovani tennisti da tempo, sapeva come gestire la stampa e le intrusioni del pubblico. Anche se non si poteva mai essere del tutto tranquilli, il torneo di Roma ci aveva assicurato un'atmosfera tranquilla, con giornalisti rispettosi e fotografi scalmanati solo in rare occasioni. 

A Reggio Calabria per la prima volta mi sentii come una di quelle campionesse che a Wimbledon riempivano anche gli spalti dei campi di allenamento. Fuori era un tripudio di fotografi, giocatori, pubblico, impossibile da ignorare del tutto. Quasi rimpiansi di avere addosso solo un pantaloncino e una maglietta, di non aver pensato a un tocco di make up. 

Era la prima volta che mi capitava di pensarci: non c'era attimo in cui non fossimo nel mirino di qualcuno, e stranamente stavo realizzando questo solo adesso, vedendo Claudia con gli zigomi perfettamente incisi e le ciglia voluminose, Orlando con i capelli ben tagliati e Riccardo nel suo completo grigio blu dell'ultima collezione Nike. 

C'era chi criticava il nostro aspetto, chi analizzava a fondo il gesto tecnico, chi segnava i punti deboli di ognuno di noi nel caso in cui sarebbe servito; altri ancora erano lì senza un motivo preciso, ma solo perché trascinati dalla massa o incuriositi dalle voci sul gruppo A. E poi c'era la televisione. Le telecamere della Fenice si perdevano tra quelle dei canali nazionali ed esteri.

A Verdiana la nostra fama era come attutita, ma bastava spostarsi di qualche chilometro per essere trattati nuovamente come alieni. La Coppa Squadre, grazie alla fama delle accademie che vi partecipavano ogni anno, aveva cominciato ad attirare sempre più attenzione su di sé. Allo stesso tempo, impreparata a sostenerla, aveva grosse difficoltà a gestirla.

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