XLVIII. - Dolce e amaro

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Il giorno dopo ero così di malumore che niente sarebbe riuscito a calmarmi. Qualunque cosa il mio ingresso nell'A avesse provocato, doveva finire subito.

Non mi interessava essere un esempio da seguire, né scoprire la verità su quella notte. 

Fino al giorno prima l'idea di porre fine alla lotta tra Fenice e TCI mi aveva attratto, ma dopo le aspre parole di Alessandro sul suo passato volevo solo dimenticare la conversazione con Ivan e non pensarci mai più, anche se non era così facile: quelle parole continuavano a tormentarmi. 

Non potevo fidarmi di Ivan, volevo ma non potevo, anche se lui era disposto a dirmi chi fosse il presunto responsabile di tutto ciò che mi stava accadendo.

Il suo ultimo avvertimento, "non fidarti di nessuno", aleggiava nella mia testa continuamente. 

Ero ormai convinta che ci fosse Orlando dietro tutto questo, non vedevo l'ora di poterlo affrontare da sola, ma allo stesso tempo desideravo una conferma, o almeno qualcuno con cui parlare.

Ad aggravare la situazione già complicata c'era l'orda di paparazzi che era comparsa in occasione dei quarti di finale.

Se fino ai giorni precedenti eravamo riusciti ad evitarli o almeno a conviverci pacificamente, adesso che la frenesia delle fasi finali iniziava a farsi sentire non era raro che dovessimo fare i conti con fotografi appostati dietro i bungalow, giornalisti che ci interrompevano durante il pranzo per una dichiarazione, e soprattutto ragazzi che ci chiedevano foto o autografi. 

Ci provavo, ma non riuscivo ad essere spontanea e contenta nel momento in cui queste persone si avvicinavano.

Per me era un'intrusione, qualcosa che mi metteva in grossa soggezione e non c'era niente che potesse migliorare la maniera in cui continuavo a sentirmi quando queste persone, emozionate, mi fermavano per parlarmi e congratularsi. 

Non avevo fatto nulla per meritarmi tutto questo e non mi sentivo a mio agio davanti a loro, a differenza dei miei compagni, che facevano a gare su chi riceveva più applausi in tribuna.

La giornata doveva ancora iniziare e già c'erano state due sorprese eclatanti. Giulia era completamente sfatta in campo, dopo la nottata precedente. Non sapevo neanche a che ora fosse tornata. 

Alla fine, dopo un'ora di palle a rete e imprecazioni verso John, si era ritirata. Ancora una volta il ginocchio, anche se era chiaro a tutti che non fosse quello il problema.

Claudia aveva seguito accanto a me tutta la partita, in silenzio e assorta nei suoi pensieri. Non importava quanto avessi insistito, non ero riuscita a cavarle una sola parola di bocca la notte precedente sulle origini del suo pianto. 

Aspettavo di chiederlo in privato a Giulia, ma da come aveva urlato uscendo dal campo e da come aveva sbattuto la porta dello spogliatoio prima e del bungalow poi, capii che non era una buona idea fare conversazione con lei. Tra i drammi di quel gruppo sembravo la più equilibrata e il mio cervello era in fumo.

Il sole si stagliava finalmente al centro di un cielo di un azzurro chiaro e limpido, un tempo che sicuramente migliorava il mio umore dopo il tempaccio dei giorni precedenti.

La partita di Riccardo fu emozionante e ricca di colpi di scena. Non sapevo davvero se fosse lui a rendere accattivanti i suoi match ai miei occhi, ma quando Riccardo scendeva in campo non riuscivo a smettere di guardarlo. 

Il suo gioco era emozionante. Il ritorno del gioco a rete aveva sicuramente favorito il suo stile: le sue frustate di diritto spingevano l'avversario sempre più in fondo al campo.

Poi, con piccoli e rapidi passi, guadagnava la rete e accarezzava con la racchetta la debole palla che gli ritornava indietro, accompagnandola con una volée leggera ma decisa nel quadrante del servizio, impossibile da recuperare. 

La Fenice #1 [La Fenice Series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora