CII. - Vincitori e perdenti

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Era ormai arrivato il tramonto, e la calda aria che giungeva da sud scioglieva i colori del cielo. Il rosso fuoco delle prime tonalità, quelle più basse, si fondevano all'arancione e al giallo. Poi una minima sfumatura di verde, e il cielo passava all'azzurro. 

Su, un blu più profondo. Sulle folte chiome che circondavano la Fenice una grande nuvola bianca rimaneva ferma, immobile. Un tono rosa pallido la cingeva inferiormente. 

Mentre la brezza ancora molto calda smuoveva gli alberi lontani degli alloggi dei giocatori, i vestiti della gente che impaziente aspettava sulle gradinate.

I fari del Nido imperavano alti e un applauso scrosciante si udì lontano, come se fossi all'interno di una bottiglia. Lo scroscio si fece più rumoroso, come se il tappo di sughero fosse stato tolto, quando le porte vetrate del corridoio dei giocatori ci furono aperte.

Avevo lo stomaco chiuso e le tempie che pulsavano. La testa ronzava e l'ultima cosa che avevo voluto era stata scendere in campo. Ero quasi arrivata ad un passo dal ritiro. Il labbro pungeva.

I nostri nomi, la musica incalzante, riecheggiavano lontano. Camminai nel campo. Ordinai al braccio di alzarsi per salutare il pubblico, ma non rispose al mio comando. Giulia aveva già posato la sua attrezzatura sulla prima panchina.

Nei primi istanti lo smarrimento si impadronì di me. Mi sembrava di vedere ogni mossa, comprese le mie, rallentate. Gli applausi del pubblico, che si godeva lo spettacolo senza sapere quello che stava accadendo realmente. 

Facevano il tifo per lei. Adesso avevo solo voglia di vomitare, pensandoci. Ero disgustata. Avanzando con i colpi di riscaldamento però, sentii dentro di me crescere quella grinta che pensavo di aver perso tutta. Iniziai a caricarmi nuovamente.

Ero la nuova, ero quella che non aveva il favore del pubblico. Ero la sconosciuta. Se non potevo batterla, avrei dovuto in ogni caso far pagare cara la pelle alla mia avversaria.

Giulia vinse il sorteggio, e traforandomi con lo sguardo decise di servire.

Non feci in tempo a posizionarmi a fondo campo che mi aveva giù fatto ace.

Mi sistemai a sinistra del campo, accompagnata da applausi entusiasti. Questa volta riuscii a prenderla, ma la palla si fermò miseramente a rete.

- Forza! – gridò, con un pugno stretto sul petto. L'atmosfera si riscaldò subito. Fin da lì potevo immaginare i telecronisti di Eurosport commentare quel gesto aggressivo, a due punti dall'inizio del match. Per chiunque poteva suonare strano, perché era solo il secondo punto, ma per noi la partita era iniziata da tempo. Era iniziata da mesi, forse anni.

Il servizio arrivò puntuale e rabbioso sul mio rovescio, era lì che voleva andare a parare, si capiva. Il mio colpo più debole.

Presi la carica, lo slancio delle gambe, e tirai lungolinea. La palla, come una saetta, si alzò tesa sulla rete per poi abbassarsi velocemente. Giulia non fece in tempo, non poteva.

- Forza! – gridai allora io, con un piccolo pugno stretto lungo il fianco sinistro.

Il problema principale era che io e Giulia ci conoscevamo fin troppo, ma che – un po' per bravura, un po' per esperienza – lei sapeva come far leva sui punti deboli molto meglio di me. Entrambe conoscevamo perfettamente le debolezze dell'altra, ci eravamo scrutate per mesi, ma in qualche modo lei sapeva esattamente cosa fare e come farlo in ogni situazione. Ora che la partita era iniziata, non c'era punto in cui mi sentissi in difficoltà. 

La palla veloce, e i colpi precisi, come se studiasse quegli schemi da sempre. Non erano sempre facili da interpretare. Ma in qualche modo stavo andando avanti. Giulia continuava ad avere un vantaggio di un game su di me a suon di turni di servizio, e io puntualmente riducevo la distanza, ristabilendo la parità. 

La Fenice #1 [La Fenice Series]Where stories live. Discover now